Sorpresa: il “protezionista” Trump preoccupa eccome le altre potenze
23 Gennaio 2017
Tra i tanti cambiamenti attesi dalla nuova Amministrazione Trump uno riguarderà sicuramente la gestione della politica estera che si preannuncia quantomai diversa da quella seguita negli anni della Presidenza Obama. Ed uno dei dossier più delicati verterà sulle relazioni con la Russia. Pur avendo fin dall’inizio dichiarato come fosse sua intenzione aprire una nuova fase con il Cremlino, Trump cinque giorni fa, in due interviste rilasciate al “The Times” ed al “The Wall Street Journal”, ha però criticato l’azione di Putin in Siria e ribadito come la sua Amministrazione intende mantenere al momento le sanzioni contro Mosca per i cyber attacchi russi avvenuti durante le elezioni, sottolineando comunque come queste potrebbero essere eliminate se la Russia si dimostrasse pronta a collaborare su alcuni argomenti ed a mostrarsi disponibile ad aprire un negoziato per la riduzione delle armi nucleari.
Se da un lato la nomina di Rex Tillerson come Segretario di Stato costituisce, a detta degli osservatori, un segnale di apertura verso il Cremlino, dall’altro non manca però chi al contrario ritiene come la linea di Trump non cambierà da quella fin qui seguita e che alla fine il nuovo corso nei rapporti con Mosca registrerà solo dei cambiamenti d’immagine non particolarmente significativi sul piano diplomatico.
Ed a sostegno di questa opinione si citano le dichiarazioni effettuate dal Segretario al Tesoro designato Steve Mnuchin nel corso del dibattito per la conferma alla sua designazione davanti alla Commissione Finanze del Senato, nelle quali ha sottolineato come sia sua intenzione applicare le sanzioni alla Russia nella loro totalità, nonché da quello alla Difesa Mattis per cui i tentativi russi di indebolire la NATO costituiscono il principale pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti.
Inoltre, tra gli stessi esponenti Repubblicani non mancano i critici verso il possibile riavvicinamento con Mosca, tanto che i senatori John Mc Cain e Lindsay Graham, nel corso della loro recente visita in Estonia, hanno riaffermato l’impegno di Washington nella NATO e nella conseguente difesa delle repubbliche baltiche. Non è un caso quindi che all’interno del mondo politico e tra gli esperti russi in questi ultimi giorni si sia diffuso un notevole scetticismo sulla linea politica che la nuova Amministrazione di Donald Trump adotterà verso Mosca e che il ritorno ad una normalità nei rapporti tra Washington e Mosca non sarà certo facile.
Non meno importante sarà poi la questione riguardante i rapporti con la Cina che la gran parte degli analisti ritiene andranno significativamente a peggiorare. Se durante le Amministrazioni di George W. Bush e Barack Obama le relazioni tra Washington e Pechino sono state contrassegnate da un approccio pragmatico e sostanzialmente moderato, all’interno del quale, mentre sul piano politico gli Stati Uniti contrastavano la crescente forza militare cinese in Asia consolidando i legami con i loro storici alleati regionali, su quello economico i due Paesi operavano in un sostanziale quadro di libero scambio da cui traevano entrambi vantaggio, che in sostanza si traduceva nella possibilità per il consumatore americano di acquistare sul mercato prodotti a basso costo e per l’operaio cinese di avere a disposizione numerosi posti di lavoro, con Trump questa equazione potrebbe invece essere messa in discussione.
Il nuovo Presidente vede infatti la crescita cinese come il risultato della politica monetaria basata sullo Yuan debole attuata da Pechino ed il rinnovato espansionismo della Cina come un pericolo per la sicurezza americana, tanto che Trump ha dichiarato di voler rafforzare i legami con il Giappone e di condividere la prospettiva che Tokyo e Seoul si dotino di un proprio dispositivo nucleare, aggiungendo di essere pronto a rivedere i rapporti commerciali con la Cina se questa non s’impegnerà più efficacemente nel controllare la Corea del Nord ed il suo programma nucleare.
Ed a rendere più problematici i rapporti con Pechino potrebbe contribuire poi la posizione assunta dalla nuova Amministrazione nei confronti di Taiwan. Da quando Carter procedette al riconoscimento formale della Cina Popolare nel 1979, gli Stati Uniti, pur non avendo mai firmato ufficialmente questa dichiarazione di principio al momento dell’apertura delle relazioni diplomatiche con Pechino, al pari della stragrande maggioranza dei membri della comunità internazionale, riconosce l’esistenza di “una sola Cina”. Tuttavia, i legami economici, politici e militari tra Washington e Taipei non sono mai venuti meno, tanto che in base al “Taiwan Relation Act” gli Stati Uniti si impegnano a difendere l’isola se questa venisse attaccata. Subito dopo la sua affermazione, Trump ha così prima accettato la telefonata di congratulazioni del Presidente taiwanese Tsai In-weng e poi invitato a partecipare alla cerimonia del suo insediamento una delegazione guidata dall’ex – Premier dell’isola Yu Shyi-kun, due gesti che hanno sollevato le dure proteste di Pechino.
Pure se Trump ha dichiarato come il principio di “una sola Cina” sia negoziabile, è tuttavia opinione dei commentatori che la Casa Bianca non si spingerà fino alla sua negazione, anche se non si può escludere che la nuova Amministrazione cercherà di favorire una maggiore visibilità internazionale di Taiwan e “rivedere” la questione dell’esistenza di “una sola Cina” adattandola al nuovo quadro geopolitico internazionale proprio allo scopo di contrastare la sempre più assertiva politica estera cinese.