L’Italia frana e Matteo Renzi fugge verso il voto
27 Gennaio 2017
Dopo le scene strazianti dell’Hotel Rigopiano, il dolore per i morti e la gioia per i salvati, la grande paura degli italiani che vivono in Abruzzo e nelle regioni dell’Italia Centrale non è finita. E’ vero che si è trattato di un combinato micidiale fra terremoto, nevicate e valanghe, ma l’inverno non è finito, le scosse in quella parte dell’Italia vanno avanti da mesi, da anni, e mentre ci si chiede cos’è che non ha funzionato, perché quella turbina non è arrivata a spazzare la strada, resta la paura di rimanere senza luce, senza riscaldamento, senza casa, con il bestiame assiderato e abbandonati dallo Stato.
Le soluzioni ai problemi ci sarebbero, per esempio ridare poteri e centralità alla Protezione Civile, usare meglio di come si sia fatto fino adesso i fondi europei, iniziare una verifica seria delle nostre reti energetiche, ma pure viarie, nazionali, oppure chiedersi che senso ha abolire le province se poi esistono ancora ma non hanno mezzi e risorse per intervenire. E ancora, com’è stato chiesto, fare una legge speciale per l’Abruzzo, regione che dal 2009 continua a pagare un prezzo altissimo per queste sciagure, le vittime, lo spopolamento, la desertificazione economica in luoghi a forte attrazione turistica.
E’ doveroso allora che la politica italiana si fermi un attimo e faccia un bel respiro. Non per “avvelenare i pozzi”, come teme il premier Gentiloni (ma dovrebbe rivolgere questo appello al Pd, non all’opposizione), piuttosto per prevenire altre sciagure e cercare di ridurre, contenere e mitigare gli effetti di – chiamatelo come volete – il riscaldamento climatico, l’evento imponderabile, la sciagura annunciata, la fragilità geologica del territorio italiano. Per un momento è sembrato che Gentiloni lo facesse. Ha annunciato, nel programma di Fabio Fazio, nuovi poteri alla Protezione civile, bloccata da “strozzature burocratiche”, un coinvolgimento dell’Anac, insomma, aveva azzardato qualche iniziativa. Non l’avesse mai fatto: è intervenuto quello che Crozza ha genialmente definito il “Renzimaker“, meccanismo di controllo a distanza sul nuovo premier da parte del vecchio, e il povero Gentiloni si è inceppato. Renzi non gradisce che l’attuale governo (come nel caso della svolta sugli immigrati del ministro Minniti) appaia più efficiente del suo, e soprattutto che cambi, su qualche tema, la linea da lui avviata.
Nessuna discontinuità, nemmeno se c’è un terremoto, nemmeno se sono gli italiani a pagare (e caro) il prezzo delle sue esigenze di sopravvivenza. Così anche per l’Europa, che questa volta, quando chiede conto della manovra in deficit allegramente varata da Renzi, non ha affatto torto. Il nostro ha ottenuto flessibilità con la motivazione del terremoto, ma per Bruxelles, guardando i conti, quella motivazione appare una scusa, come quelle con cui, da ragazzi, cercavamo di evitare un’interrogazione. Si sa che Renzi aveva chiesto, per il sisma, uno sforamento di oltre 3 miliardi, ma lo stanziamento per le popolazioni colpite, nella finanziaria, è intorno ai 600 milioni. Insomma, l’Europa chiede semplicemente che i conti tornino, cioè che, se si ottiene di andare in deficit per aiutare i terremotati, poi i soldi servano a questo. E se si chiede di considerare l’emergenza, poi non si nascondano, dietro l’emergenza, problemi strutturali su cui non si è voluto investire.
Oggi la politica dovrebbe avere il tempo di riflettere, programmare in modo omogeneo ed efficace gli interventi, ma di fronte a una situazione come questa qual è la risposta del leader politico che al momento ha la golden share sul governo, che guida un grande partito, che aveva promesso un piano altrettanto grande di messa in sicurezza del patrimonio edilizio nazionale, Casa Italia, 75 miliardi in 15 anni? Cosa fa Matteo Renzi? Abbraccia uno dei Vigili del Fuoco, e anche noi come lui siamo orgogliosi di chi presta soccorso e salva vite umane, ma nello stesso tempo, dopo la sentenza della consulta sull’Italicum, Renzi vuole correre, andare a elezioni, con l’unica preoccupazione di restare in pista prima che gli italiani si dimentichino di lui come una stella cadente. E lo vuole non solo ignorando le urgenze del paese, ma temendo anche di dover rispondere all’Europa e ai cittadini italiani sulla sua manovra, su come ha speso i nostri soldi. Per evitare di dare risposte, del resto, basta alzare il tiro contro l’Europa, urlare, come fanno i suoi, che Moscovici è un mostro insensibile, e intanto sbrigarsi ad andare alle urne prima che gli elettori si rendano conto del danno subìto. Bisogna fare presto, bisogna incassare il bottino politico e scappare.
Vogliamo tutti andare a votare, ma non a scapito del nostro paese. E’ assolutamente necessario superare questo inverno difficile e a gettare le basi per un programma per il futuro, che rimetta in sesto questa Italia malconcia. Ma è troppo tempo per Renzi. Così riecco il solito atteggiamento spavaldo, quello che condusse Matteo dritto alla sconfitta del referendum: pensare al proprio interesse politico personale e lasciar perdere o usare strumentalmente tutto il resto pur di ottenere il risultato agognato, conservare il potere. La politica non è generosa, è risaputo, ma gli italiani non sono stupidi. E anche se andassero a votare domani (peraltro con una legge che per adesso è arabo puro) non dimenticherebbero certo come siamo arrivati a questo punto, e chi ci ha condotto fin qui.