Dal Pd risposte marziane al sindaco “marziano”
30 Marzo 2016
Meglio di Ignazio Marino, il sindaco lunare che tornato sulla Terra sbarca direttamente in libreria, ci sono solo i finti marziani del suo ex partito: a sentirli sembra che fino a ieri in Campidoglio siano stati fieramente all’opposizione. Se non fosse per l’incomprensibile harakiri dello schieramento avversario, evidentemente convinto che a Roma vinca chi ha più candidati e non chi ha più elettori, lo spettacolo degli stracci che volano in casa democratica sarebbe, per dirla alla Renzi, da compare i pop corn.
A dare fuoco alle polveri il j’accuse fresco di stampa dell’ex primo cittadino, intitolato "Un marziano a Roma". In che senso l’allegro chirurgo dia a se stesso dell’extraterrestre – dopo che in tanti avevano usato quell’appellativo per evidenziare la sua incapacità di gestire la Capitale – lo si capisce subito dalle sue parole. "Se avessi seguito tutti i consigli del Pd forse mi avrebbero messo in cella di isolamento", attacca Marino, che spiega il suo siluramento per essersi opposto alla brama di "partiti voraci" che "fingono di litigare durante il giorno e poi si siedono tutti a tavola con persone adesso anche arrestate".
Su Marte forse no, ma "in Alaska o in Nuova Zelanda il Pd avrebbe molto gradito che emigrassi" dopo aver caldeggiato invano – stando al racconto dell’ex sindaco – l’attribuzione di incarichi apicali di giunta a personaggi poi coinvolti nelle indagini su Mafia Capitale. Ne ha per tutti Marino. Per i dirigenti romani del Partito democratico, al quale per il 2016 fa sapere di non aver ancora rinnovato l’iscrizione. Per la segreteria nazionale. E ovviamente per Matteo Renzi, che "preferisce sedersi con le lobby" e per questo avrebbe fermato tutti i rivoluzionari cambiamenti avviati dal sindaco marziano. Del resto – osserva Marino – "un capo di governo che non è stato eletto da nessuno, indicando "un commissario governativo rispetto a un sindaco eletto direttamente da centinaia di migliaia di cittadini", si sarebbe reso artefice di "una lesione della democrazia che è stata considerata con molta attenzione e preoccupazione dalle cancellerie di tutti i Paesi stranieri".
Fin qui il racconto dell’allegro chirurgo, il quale volutamente lascia in sospeso l’interrogativo principale: si candiderà o meno alla sinistra di Roberto Giachetti? Prenderà o no in mano la bandiera di quell’area oggi rappresentata a Roma da Stefano Fassina? Accetterà di presentarsi come icona di quei romani fieramente di sinistra che magari non pensano che lui sia stato un gran sindaco (difficile immaginare il contrario…) ma ritengono che abbia fatto argine alla penetrazione del malaffare.
Marino dice e non dice. Né sì e né no, o forse sì ma non ora. Di certo, la sola ipotesi è bastata a far saltare i nervi al Pd capitolino, che fingendo di dimenticare di averlo sostenuto per i primi lunghi e disastrosi anni di sindacatura, e noncurante del fatto che se non ci fosse stata l’opposizione di Alfio Marchini non sarebbe stato capace neanche di mandare a casa il suo sindaco, ha scatenato via agenzie di stampa l’artiglieria pesante. Causi si è detto "offeso e rattristato", Esposito ha liquidato le ricostruzioni dell’ex primo cittadino come "balle marziane", Orfini ha parlato di "romanzo fantasy", Carbone di "delirio", Guerini si è riservato di leggere l’opera integrale per sporgere eventualmente querela, e chi più ne ha più ne metta.
Un botta e risposta così feroce da aver fatto dire al presidente di "Idea", Gaetano Quagliariello, che "meglio del libro di Marino c’è solo la reazione del Pd. Di fronte allo spettacolo della sinistra a Roma, è sempre più assurdo che il centrodestra rinunci a vincere!". Proprio così: i difensori della squadra rossa lasciano la porta vuota per picchiarsi fra loro a bordo campo, e gli avversari piuttosto che rischiare di fare gol prendono il pallone e lo portano via. Quasi più marziani di Marino e del Pd.