L’Italia non può farsi tagliare fuori da un mondo sempre più interconnesso
31 Gennaio 2017
Le infrastrutture, materiali e immateriali, rappresentano il mezzo attraverso il quale un territorio entra in connessione con il resto del mondo. Lo sapevano bene i nostri avi Romani e dalla efficienza e capillarità della rete infrastrutturale dipendono lo sviluppo e l’attrattività economica di un sistema paese. Potremmo dire che, rimanendo all’idea di “sistema”, le infrastrutture materiali ed immateriali ne rappresentino apparato nervoso, arterioso, venoso, insomma la spina dorsale. Per questo la contrapposizione fra le diverse tipologie di infrastrutture, spesso cavalcata dagli oppositori delle stesse, è insensata. L’Italia, per la sua felice posizione al centro del Mediterraneo, un ponte verso il continente africano incuneata al centro dell’Europa, avrebbe dovuto fare di questa sua “geostrategicità” un atout importantissimo. Purtroppo, ad oggi, così non è, anzi. E infatti, ad esempio, i costi della logistica nel nostro paese sono di molto superiori a quelli dei nostri maggiori competitori europei. Non parliamo, poi, dei paesi extraeuropei. Peraltro, questi costi, insieme a quelli dovuti al nostro storico gap energetico, sono quelli che rendono la nostra competitività industriale più “difficile”.
L’Italia avrebbe tutte le carte in regola per essere al centro di un network dello sviluppo per il continente africano e via preferenziale di comunicazione tra Africa e Nord Europa. Questo dovrebbe voler dire mettere il nostro Nord nelle migliori condizioni possibili per dialogare con il grande mare Mediterraneo e dare al nostro Mezzogiorno la possibilità di esprimere una delle sue missioni più importanti. La Sicilia, la Calabria, la Puglia, la Basilicata e la Campania dovrebbero divenire un grande distretto infrastrutturale, integrando le loro potenzialità, invece di inseguire progetti regionali in reciproca competizione che inibiscono una reale crescita di caratura internazionale. Che senso ha avere 10 porti o aeroporti se nessuno di essi riesce ad avere un mercato di riferimento? Rischia di essere solo una forma di assistenzialismo.
Il citatissimo porto di Rotterdam, che sembra essere sogno ed incubo dei nostri operatori del settore, ha operato, costantemente, prevenendo, programmando con una flessibilità ed una capacità di leggere la realtà, anche in maniera dura, che ha pagato. Quell’assistenzialismo che ogni anno brucia una enormità di risorse in progetti senza speranza, invece, in Italia impedisce la crescita di poli infrastrutturali degni di questo nome. Titolo V, Piano porti ed aeroporti, nonostante gli sforzi, non riescono a fare i conti con l’attualità. Una attualità che ci mette dinanzi all’enorme sforzo che la Cina vuole perseguire infrastrutturando l’Asia. Rispetto a questi cambiamenti che spingono qualcuno, addirittura, a parlare di geografia tradizionale stravolta da una nuova realtà, definita “connettografia”, come sistema Italia cosa rispondiamo? Dinanzi a un mondo percorso da infrastrutture vitali che superano i confini geografici, stabilendo forti legami di interdipendenza cosa facciamo? Impediamo ad alta velocità e capacità di attraversare l’area più industrializzata del paese, il Nord Italia? Rivendichiamo l’isolamento del sud, Sicilia in testa, inventandoci la contrapposizione Ponte sullo Stretto versus infrastrutture locali? Come se le infrastrutture strategiche non avessero bisogno di quelle di servizio.
Un tema, quello infrastrutturale, in tutte le sue declinazioni, che non ha trovato grandi interpreti in Italia, anche perché vorrebbe dire avere una visione del sistema paese, la volontà di individuare, non è una parolaccia, un interesse nazionale. La volontà di uscire dalla comoda dimensione dell’Italietta. E dunque: pensare ed operare in grande, rilanciare una nostra visione della Nazione inserita al centro del contesto Euromediterraneo. Ridurre il numero delle infrastrutture strategiche (porti ed aeroporti), concentrare gli investimenti, dotare queste infrastrutture delle opere di servizio. Potenziare la rete nord-sud ed est-ovest, immaginare come incubatoi infrastrutturali le aree ad alta concentrazione di impresa, uscire dalla logica regionale per spingere verso operazioni di macro-quadrante. E ancora, immaginare la Sicilia come piattaforma infrastrutturale mediterranea ed il Sud come un grande network (peraltro, non solo in questo ambito), implementare la Piattaforma Logistica Nazionale e darle operatività avendo chiaro che essa è strumento complementare all’efficientemento dell’utilizzo delle infrastrutture stesse e che, quindi, non può sostituirle. Una serie di indicazioni ed indirizzi, dunque, con un obiettivo: ridare competitività, centralità e forza al Sistema Italia. All’opposto chi crede che No Tav sia il simbolo di un rapporto fra comunità fatto di piccole solidarietà, commerci e reti di scambio che ricordano tanto il Medioevo. L’alternativa di chi propone di scendere dal mondo.