L’Italia non è un paese per Machiavelli
28 Settembre 2016
di Daniela Coli
Siamo davvero il paese di Machiavelli, che ci ha insegnato a simulare e ad essere volpi? Non proprio, a vedere le ultime mosse del ministro degli esteri Paolo Gentiloni. A New York per l’Assemblea generale dell’Onu, Gentiloni saluta gli italiani al Consolato e si augura la vittoria di Hillary Clinton alle presidenziali di novembre per mantenere buoni rapporti con gli Stati Uniti. Ma se poi vince Trump, che continua a chiedere ai Paesi europei – Italia compresa – di pagare le quote NATO se vogliono essere difesi dagli Usa, come la mettiamo?
Ancora oggi, membri dell’amministrazione Obama fremono al sentire nominare Silvio Berlusconi per la gaffe dell’abbronzato, ma cosa accadrebbe se, dopo aver messo insieme tutte le gaffe fatte dal governo attuale contro Trump, il tycoon tanto odiato diventasse presidente degli Stati Uniti? Al tema “quote Nato” gli americani, democratici e repubblicani, sono da anni sensibilissimi e non mancano mai di toccare questo tasto con amici e colleghi italiani. La diplomazia, insomma, consiglierebbe almeno neutralità in occasione di elezioni in casa altrui.
Come se non bastasse, Gentiloni a New York ha anche ribadito il sostegno italiano ad al Sarraj, nominato dal tedesco Kobler per l’Onu, l’alleato più debole che il governo Renzi ha scelto di appoggiare in Libia. D’altronde, dopo la clamorosa rottura dei rapporti italiani con l’Egitto, in Libia sembra difficile riuscire ad avere buoni rapporti con il generale Haftar come con i francesi che lo sostengono. L’Italia aveva una sua influenza nella ex Jamaria di Gheddafi, ma se pensiamo alla questione attualissima della lotta in atto per il controllo dei giacimenti petroliferi libici si può dire che stiamo difendendo il nostro interesse nazionale?
Per dimostrare fedeltà a un Obama in scadenza, Gentiloni ha anche chiesto a Putin di intervenire per fermare i bombardamenti siriani su Aleppo. Ora, negli altri Paesi ci si divide sia sulla Russia di Putin che sulle prossime elezioni americane, e in Gran Bretagna, per esempio, ci sono giornali che sostengono Trump, come il “Telegraph”, e altri che invece sostengono Hillary, come il “Guardian” (solo in Italia sono tutti con la Clinton). Anche la stampa inglese pubblica la foto del piccolo Omran, estratto dalle macerie di Aleppo bombardata, versando lacrime sul “macellaio” Assad e il “brutale” Putin.
Ma poi il ministro degli esteri inglese Boris Johnson vola in Turchia e dichiara di desiderare un accordo di libero scambio tra Londra e Ankara, un nuovo partenariato con quel fiorellino di Erdogan. Tutto questo si chiama fare politica, in una nuova fase multipolare delle relazioni internazionali. Forse sarebbe il caso di prenderne atto anche noi italiani.