L’amica Israele e la minaccia Teheran: le due sfide di Trump
07 Febbraio 2017
Oltre che ai già citati dossier sui rapporti con Russia e Cina, l’Amministrazione Trump dovrà fronteggiare anche le delicate questioni riguardanti Israele e, soprattutto, l’Iran. Entrati da tempo in una fase di freddezza, i rapporti tra il governo Netanyahu e la presidenza Obama hanno toccato il loro punto più basso lo scorso 27 Dicembre, quando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato, con l’astensione degli Stati Uniti che in passato invece avevano sempre opposto il loro veto, una risoluzione di condanna sugli insediamenti israeliani nei territori occupati, una decisione aspramente criticata non solo da Trump e dai Repubblicani, ma anche dalle associazioni ebraiche americane.
Con la nuova Amministrazione all’interno del mondo politico israeliano ci si aspetta però un netto cambio di orientamento, visto che non solo Netanyahu ma anche il Presidente Rivlin ed il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat hanno accolto con grande favore l’affermazione del tycoon Repubblicano alla Casa Bianca. La designazione di David Friedman, un avvocato d’affari da sempre attestato su posizioni favorevoli a Gerusalemme, come Ambasciatore in Israele, unitamente alla presenza di persone di fede ebraica tra i più stretti familiari del nuovo Presidente – suo genero Jared Kushner è un ebreo ortodosso e la stessa figlia Ivanka si è convertita all’ebraismo prima del matrimonio – , rappresentano poi due elementi che dovrebbero ulteriormente rafforzare i legami tra la Casa Bianca e lo Stato ebraico, tanto che molti ritengono che Trump possa considerarsi forse il Presidente più vicino ad Israele eletto negli Stati Uniti negli ultimi venticinque anni.
Sul piano politico, il governo israeliano si aspetta dalla nuova Amministrazione sia un atteggiamento più favorevole verso gli insediamenti in Cisgiordania che il ritorno ad una linea più dura nei confronti del regime iraniano. Sul primo punto però Trump, nonostante lo scorso Novembre il Ministro della Difesa israeliano Lieberman avesse auspicato il raggiungimento di un’intesa in base alla quale la Casa Bianca avrebbe autorizzato l’espansione degli insediamenti già esistenti in Cisgiordania in cambio del congelamento dei progetti di costruzione pianificati in altre aree, ha affermato come la costruzione di nuove colonie nei territori occupati non favorisca il dialogo con i palestinesi, anche se lo stesso comunicato presidenziale ribadisce comunque come la presenza degli insediamenti non costituisce un ostacolo ai negoziati di pace. E’ probabile poi che Trump rafforzi le relazioni con l’Egitto e l’Arabia Saudita considerati entrambi come alleati fondamentali nella lotta al terrorismo e nel contenimento dell’influenza iraniana nella regione, un punto questo visto con favore negli ambienti politici e militari israeliani i quali collaborano con il governo de Il Cairo nell’azione di contrasto dell’ISIS ed informalmente con lo stesso regime saudita vista la comune ostilità verso Teheran.
Ma il punto dove l’Amministrazione Trump potrebbe più distanziarsi da quelle passate riguarda il trasferimento dell’Ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, una mossa che mentre verrebbe accolta con estremo favore da parte israeliana, solleverebbe al contrario le dure proteste sia da parte palestinese che da quelle di diversi Stati europei per i quali in questo modo si distruggerebbe non solo ogni prospettiva di pace, ma si destabilizzerebbe anche l’intera regione. Approvato dal Congresso nel 1995 con il varo del “Jerusalem Embassy Act” a cui però sia Clinton che George W. Bush opposero il loro veto, il trasferimento, a detta di indiscrezioni recentemente trapelate dagli ambienti presidenziali, potrebbe essere annunciato ufficialmente il prossimo 24 Maggio, data che segna la riunificazione della città dopo la guerra dei “Sei Giorni”, anche se in Israele non pochi restano comunque scettici sull’effettiva volontà di Trump di procedere alla rilocalizzazione.
Va poi segnalato che, nonostante il grande ottimismo esistente negli ambienti governativi israeliani, non mancano tuttavia quelli che guardano invece con cautela alla linea politica di Trump. In un editoriale recentemente apparso sul “The Times of Israel”, alcuni analisti hanno infatti sottolineato come l’amicizia tra Trump e Putin potrebbe portare ad un rafforzamento dell’influenza iraniana in Siria, mentre in un altro pubblicato sul “The Jerusalem Post” si fa notare come il ristabilimento di cordiali relazioni tra Washington e Mosca avrebbe sicuramente l’effetto di contenere il ruolo dell’Iran e degli Hezbollah, anche se non si può escludere la possibilità che Russia e Stati Uniti sulla crisi siriana raggiungano un’intesa i cui contenuti potrebbero non essere nell’interesse di Israele.
Il vero snodo fondamentale della politica mediorientale dell’Amministrazione Trump sarà però rappresentato dall’atteggiamento che il nuovo Presidente assumerà verso l’Iran. Fin dalla sua elezione, Trump è stato fortemente critico verso l’intesa sul programma nucleare iraniano, sostenendo come questo dovesse essere completamente smantellato. Si tratta tuttavia di una questione estremamente difficile da gestire visti i riflessi che ogni decisione presa avrebbe sul piano internazionale. Come sottolineano gli analisti, un’eventuale abrogazione degli accordi avrebbe come conseguenza una crisi nei rapporti, che già non si preannunciano facili, tra Washington e l’Unione Europea, i cui Paesi membri con ogni probabilità non seguirebbero gli Stati Uniti nell’implementazione di nuove sanzioni dato che molte imprese e gruppi industriali europei hanno sottoscritto accordi commerciali con l’Iran. Allo stesso modo difficilmente percorribile appare anche l’ipotesi che la nuova Amministrazione tenti di aumentare la pressione sul governo iraniano per costringerlo a ritirarsi dall’accordo, dato che sembra quantomeno improbabile che l’Iran abbandoni un’intesa i cui termini restano estremamente favorevoli per Teheran.
Tuttavia, la decisione della Casa Bianca di imporre nuove sanzioni al regime degli ayatollah sembra confermare che l’Amministrazione Trump sia intenzionata a seguire una politica assai più intransigente nei confronti di Teheran, come appare evidente anche dalle dichiarazioni rilasciate dal nuovo Segretario alla Difesa Mattis per il quale l’Iran costituisce oggi “il maggior sponsor mondiale del terrorismo”. A detta degli osservatori, il Dipartimento del Tesoro potrebbe quindi introdurre delle limitazioni ad operare sul mercato americano per quelle compagnie straniere che fanno affari con società iraniane il cui capitale è riconducibile in maggioranza od in parte alle “Guardie Rivoluzionarie”, nonché dichiarare come gli scambi off-shore in Dollari che siano collegati all’Iran vengano sottoposti alla legislazione statunitense così da impedire a Teheran di entrare in possesso di valuta americana.
E’ noto infatti come non solo le società controllate dalle “Guardie Rivoluzionarie” rappresentino un valore pari fino al 35% dell’economia iraniana, ma che i proventi realizzati vengano reindirizzati a gruppi terroristici come gli “Hezbollah” od al regime siriano. Non meno complessa si presenta infine la questione di come contrastare proprio il ruolo che l’Iran svolge indirettamente in diversi Paesi mediorientali sostenendo l’azione degli “Hezbollah” in Libano e degli “Houtis” in Yemen, visto che se da un lato appare improbabile l’avvio di un’escalation militare per ostacolarne l’azione, dall’altro però sembra evidente che la nuova Amministrazione adotterà verso Teheran un atteggiamento più risoluto proprio per dimostrare la determinazione degli Stati Uniti nel contenere la politica destabilizzatoria seguita finora dal regime iraniano.