Migranti, aborto ed eutanasia: ecco la road map del partito radicale di massa di Zingaretti
12 Marzo 2019
Augusto Del Noce, nell’individuare la modalità tramite cui il comunismo avrebbe oltrepassato se stesso e la sua vicenda dittatoriale – sovietica, aveva immaginato la nascita di una piattaforma di questo tipo. Cioè di una formazione politica fondata sulla promozione dei cosiddetti “nuovi diritti” – così li ha definiti Joseph Ratzinger – , ma assicurata, seppur in maniera abbastanza strumentale, alle istanze della left wing politics, ovvero della sinistra socialista per com’è intesta stando alle categorie della dottrina politica. Un radicalismo globalista e mondialista alla Emma Bonino – si potrebbe dire – condito da qualche spruzzata di marxismo di ritorno. Ma per la credibilità propria di un Filippo Turati – badate bene – manca almeno qualche decennio di studio.
Nicola Zingaretti e il “suo” Partito Democratico tornano a scrivere una storia che Matteo Renzi aveva solo in parte troncato: quella unionista – ulivista, che tende a recuperare tutte le anime possibili e presenti nel paniere, col fine unico di formare una maggioranza elettorale. Sappiamo come siano andate a finire quelle esperienze governative e conosciamo pure la prossimità di quegli esecutivi con i temi cari ai “cattolici adulti”. Qualcuno dovrebbe ricordarsi del disegno di legge sui DICO. L’operazione, almeno nella sua fase aggregativa, avrà successo. La narrativa è centrata sul “recupero” degli scontenti. Se Renzi era l’uomo dello sfondamento al centro, il fratello di Montalbano è un buon autista per un ritorno al passato prodiano – bertinottiano. Verranno percorse centoventimila leghe nello spazio del relativismo. Che il vento della sinistra rampante soffi dalla parte della “moltiplicazione dei diritti” – ancora Ratzinger – lo si apprende leggendo il programma con cui Zingaretti si è presentato agli elettori delle primarie. Solo che il rischio, come ventilato dal regnante e dell’emerito, resta quello della “sparizione del diritto”.
Su “prima le persone” – il manifesto zingarettiano – si legge della necessità di “reagire con forza ad attacchi analoghi che stanno interessando molte conquiste faticosamente ottenute, ad esempio le unioni civili, ma anche temi ancora aperti quali il contrasto, culturale e specificamente giuridico, alla violenza omotransfobica, il percorso verso la piena uguaglianza delle persone LGBT+, il riconoscimento dei diritti delle bambine e dei bambini delle famiglie arcobaleno, la protezione dell’identità di genere, la dignità delle persone detenute, o il riconoscimento di fondamentali spazi di autodeterminazione alla fine della vita”.
Sono parole d’ordine e intenti sciorinati in modo approssimativo, ma in maniera sufficiente per intravedere la continuazione di un grande progetto laicista e progressista in senso ampio. E questo, a ben vedere, è il solo trait d’union che rende possibile una correlazione tra il renzismo e il nascente zingarettismo. Un pezzo della catena di montaggio che non si è affatto esaurito. Che la visione del mondo di certi cattolici in politica ondeggiasse per via di qualche marea d’ipocrisia, lo si era intuito anche sotto il governo Renzi: la legge sulle unioni civili è passata per l’ufficio dell’ex senatore Giorgio Tonini, ex leader della Fuci. Ma il termine “coerenza” ha perso da tempo buona parte del suo significato originario.
Zingaretti pare averne contezza e se sarà furbo – come pare sia – metterà intorno allo stesso tavolo quelli che avrebbero dovuto far parte del “partito d’isprazione bergogliana” e gli esponenti che avrebbero aderito volentieri alla nascita di una “cosa populista”, ma di sinistra. Gli aggregatori liquidi posseggono la facoltà di far sembrare tutto utile, tutto spendibile, tutto catalogabile in nome e per conto del “rinnovamento”. Aristide Briand non avrebbe gradito l’ammucchiata ideologica, ma questi non sono più tempi buoni per i massimi sistemi e per le esclusioni ideologiche.
Il partito radicale di massa sarà così quel “partito dei cattolici” caldeggiato prima delle vittoria del governatore del Lazio alle primarie, ma sarà pure buono per la diffusione di quel “millenium socialism” che sta prendendo piede negli States, “grazie” alle kermesse – in stile festa dell’Unità – di Bernie Sanders e alle Instragram stories – sì, soprattutto quelle – della Ocasio Cortez. Otto Kirchheimer avrebbe inserito il neo Partito Democratico nel novero dei catches all party, partito pigliatutto e pigliatutti. Cambia la narrazione, cambiano i volti, cambia – a quanto pare – pure la sede, perché Zingaretti ha annunciato di voler chiudere al Nazareno, ma non vengono modificate le priorità: migrazionismo, difesa dell’apparato statale e statalista – che passa mediante espressione morbide, accettabili, di dubbia comprensione, quali “open government” – e radicalismo assoluto in bioetica.
Zingaretti ha ripreso in mano il diario appartenuto ai Prodi, ai Renzi e ai Gentiloni. Solo che dice di voler passare la penna a tutti per scrivere collettive pagine di relativismo. Noi ne siamo certi. Basterebbe guardare a quanto fatto dal fratello di Montalbano come governatore del Lazio, tra liberalizzazione della pillola Ru486 nei consultori, promozione del gender e la battaglia per i ginecologi non obiettori, per comprendere come il partito radicale di massa si proponga d’incidere sulla realtà.