
Le Fondazioni facciano le Fondazioni o alla fine resterà solo un tweet

04 Dicembre 2019
di Asterix
A cosa servono le fondazioni politiche? La risposta ci viene dagli esempi stranieri, in particolare da quelli americani. In un tempo nel quale i partiti non fanno più formazione e i leader politici non hanno tempo per l’elaborazione, questi compiti vengono devoluti a istituzioni indipendenti ma chiaramente schierate, che diventano delle vere e proprie “santebarbare” di proposte, delle fucine d’idee, delle riserve di classe politica.
Per questo le fondazioni debbono fare le fondazioni, non le casse occulte di partiti e tanto meno il ritrovo di correnti.
Non sarebbe difficile assicurare che questi compiti vengano effettivamente svolti. Basterebbe istituire un registro delle fondazioni subordinando l’accesso al possesso di requisiti minimi e fissare la regola in base alla quale nel momento in cui si assumono compiti di governo si prendono distanze nette e siderali dalla gestione della fondazione mettendosi “in sonno”, potendovi fare ritorno quando il servizio governativo sarà ultimato.
In un Paese in cui si esprimono valutazioni su tutto – persino le riviste umanistiche sono suddivise in tre categorie secondo criteri per i quali “La Critica” di Benedetto Croce oggi sarebbe collocata in “Serie C” -, non sarebbe difficile formare una commissione di saggi che giudichi se una fondazione svolge i compiti istituzionali per la quale è nata e in base a questo concederle, o negarle, l’accesso al registro.
Queste ovvietà c’è chi le ha sostenute in tempi non sospetti. Ora che i tempi sono diventati sospetti, la soluzione sarà quella di equiparare le fondazioni ai partiti politici, con annessa criminalizzazione erga omnes. Col rischio più che concreto che, dopo i partiti, ci perderemo anche le fondazioni.
Alla fine, non ci resteranno che i tweet e qualche lamento moralistico sulla politica senza qualità e una classe politica sempre più inetta.