
Centrodestra in piazza: fare informazione dovrebbe essere un pubblico servizio

05 Giugno 2020
La manifestazione unitaria del centrodestra, svoltasi il 2 giugno a Roma e in diverse piazze italiane, ha suscitato (e non di poco) l’attenzione dei media e dell’informazione nel suo complesso. Nel mirino della stampa gli assembramenti che si sono verificati soprattutto nella Capitale attorno al tricolore e alle figure di Salvini, Meloni e Tajani. Chiariamo subito una cosa: è impossibile negare l’evidenza dei fatti. E in questo caso i fatti rimandano al pubblico la fotografia di gente molto vicina che non ha rispettato le distanze di sicurezza e le norme anti Covid-19 imposte dal governo e dalle pubbliche autorità. Degli assembramenti quindi ci sono stati, come di assembramenti si può parlare in altre circostanze in cui manifestazioni aperte a tutti non hanno consentito il distanziamento sociale: si pensi ad esempio al caso della recente visita del Presidente Mattarella a Codogno o alle celebrazioni per il 25 aprile programmate dall’Anpi.
In tutti questi casi, non è stato possibile garantire sicurezza e incolumità per i cittadini intervenuti a tali eventi. Ma – ci chiediamo con umiltà tornando alla manifestazione del centrodestra unito – è mai possibile che la stampa e i media abbiano riportato all’esterno solamente il caso degli assembramenti? Forse quella piazza e quelle piazze sono state convocate per esprimere anche altro: delle proposte e non solo delle proteste contro qualcuno. Certo, Salvini, Meloni e Tajani non hanno risparmiato critiche al governo Conte e alle misure messe in campo per salvare la nostra già sofferente economia. Ma quel popolo chiedeva anche altro: un abbassamento della pressione fiscale per le imprese anzitutto, un taglio delle pratiche burocratiche, maggiore liquidità a garanzia di chi investe nel nostro Paese, un clima generale di fiducia a supporto di chi crea e genera oggi lavoro. Di questi contenuti non è rimasta traccia sulla carta stampata, anzi; sono stati pochi i canali di informazione che hanno riportato nella loro interezza le proposte del centrodestra sceso in piazza il 2 giugno scorso.
Eppure, l’informazione, se libera e completa, richiede onestà intellettuale e non divisioni manichee: da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. Si badi bene: non si tratta di una visione semplicistica della realtà, ma di un dato di fatto. In diverse occasioni e circostanze, i media non hanno avuto il coraggio di compiere un salto di qualità, raccontando con precisione e interezza ciò che avviene nel nostro Paese; se poi i soggetti interessati appartengono ad uno schieramento politico non in auge, allora i racconti faziosi abbondano a dispetto del ruolo che l’informazione stessa svolge nei confronti dei cittadini. Un ruolo di garanzia, un baluardo posto a difesa dei valori democratici costituzionalmente garantiti, un’ancora di salvataggio nei confronti di chi utilizza il potere a proprio piacimento.
Insomma, la manifestazione del centrodestra non è stata solo un assembramento collettivo organizzato per nuocere alla salute del governo Conte e dei partecipanti. Quella manifestazione è stata anche altro e sarebbe il caso che questo “altro” emergesse con forza sui giornali e nelle televisioni, proprio per non rischiare di lasciare indietro contenuti e proposte più o meno valide. Il grande Enzo Biagi, nell’editoriale del primo giorno di direzione del Resto del Carlino, scrisse di considerare il giornale “un servizio pubblico come i trasporti pubblici e l’acquedotto. Non manderò nelle vostre case acqua inquinata”.
Sarebbe il caso di recuperare questa lezione di vita, affinché nelle case degli italiani possano arrivare notizie limpide e schiette. Noi la nostra parte la stiamo facendo; aspettiamo che anche gli altri si possano unire: fare informazione è fare pubblico servizio, oltre che una grande responsabilità.