Continua il dialogo tra Olmert e Abbas. Nonostante Hamas
01 Novembre 2007
Dopo l’incontro di venerdì tra Abbas e Olmert a Gerusalemme, il Primo Ministro palestinese ha rilasciato un’intervista dichiarando che, nonostante le vicissitudini, il suo collega israeliano rappresenta senz’altro un interlocutore credibile ed è determinato a portare avanti le trattative di pace. Che si tratti di una nuova era per i rapporti tra israeliani e palestinesi?
La notizia del fallito attentato alla vita del Primo Ministro israeliano risale a pochi giorni fa e gli investigatori sembrano convinti del fatto che ci sia il partito Fatah dietro quel piano di morte. Il che, però, non sembra aver impressionato Olmert più di tanto o averlo convinto ad arrestare le trattative di pace in corso per la partecipazione alla tanto attesa conferenza di Annapolis. Conferenza che Condoleezza Rice sta organizzando con molta cura.
D’altronde, sembra che nemmeno un cancro possa fermare il Primo Ministro. “Non andiamo d’accordo su molte questioni, in particolare quelle che riguardano l’accordo permanente. Gli israeliani hanno il loro punto di vista e noi il nostro. Ora è importante che si raggiunga un accordo a due”, ha dichiarato Abu Mazen al quotidiano del Kuwait al-Rai di sabato scorso.
La richiesta avanzata da Olmert in quel di Gerusalemme non era pretenziosa: i palestinesi semplicemente avrebbero dovuto aderire alla Road Map per i prossimi accordi. I palestinesi hanno invece chiesto di non insistere troppo sulle precondizioni.
Ora, il problema non sembra tanto grave e i punti di disaccordo sembrano certamente superabili. Ma poi Abbas, nel corso della stessa intervista, ha fatto un’allusione un po’ sospetta: “Per quanto concerne quello che abbiamo recentemente sentito riguardo delle presunte trattative tra Hamas e gli israeliani, siamo certi del fatto che queste siano avvenute e ne abbiamo le prove. Non è che condanniamo questi colloqui, ma chiediamo ad Hamas di avere il coraggio di ammettere che il tutto sta effettivamente succedendo”.
Ancora, “abbiamo ricevuto informazioni sul fatto che Hamas proverà a conquistare la Cisgiordania dalla Striscia di Gaza, ma il tentativo è destinato a fallire”, ha aggiunto Abbas che ha anche sottolineato il presunto appoggio da parte di “elementi esterni” che il Hamas starebbe ricevendo. “Ci sono elementi internazionali molto ben conosciuti che stanno aiutando il movimento [di Hamas, ndr], ha detto Abu Mazen.
Quindi, il dialogo tra il Primo Ministro palestinese e quello israeliano sarebbe in parte compromesso da questi elementi esterni che supportano Hamas, dalle trattative in corso tra il partito di Ismail Haniye e “gli israeliani” e in ultima analisi dal fatto che questo sistema di relazioni politiche sta in pratica intaccando la sovranità del partito Fatah all’interno dei territori palestinesi. E questo Abbas non lo vuole assolutamente, perché equivarrebbe a riconoscere un altro potere oltre al suo, equivarrebbe a spartirsi il paese che Abu Mazen ha intenzione di creare senza l’ombra lunga del Hamas.
Riguardo a questi presunti incontri il funzionario del Ministero della Difesa israeliano, Shlomo Dror, in un’intervista per Ynet.news è però stato categorico, “è assolutamente falso, non abbiamo alcun contatto con Hamas, esiste, infatti, una politica molto rigida secondo la quale ogni tipo di contatto diplomatico con Hamas va evitato”. D’accordo è una smentita di rito, ma semmai ci dovessero essere stati dei contatti tra il gruppo estremista di Haniye e il governo di Tel-Aviv, questi avrebbero dovuto riguardare l’embargo imposto da Israele nei confronti della Striscia di Gaza che sta mettendo seriamente a repentaglio l’economia (se si può definire tale) della regione. Infatti, proprio Olmert aveva dichiarato venerdì scorso che non avrebbe tagliato la luce agli ospedali di Gaza, nonostante i missili Qassam continuassero nel frattempo a cadere in Israele.
Rimane da capire chi sta supportando Hamas e in che modo. Un indizio. In un’intervista con il Washington Post dello scorso mercoledì 24 ottobre, la Rice ha dichiarato tra le altre cose, che “rappresenta davvero un problema il coinvolgimento iraniano in questi elementi radicali dei gruppi terroristi palestinesi”. Non è certo la prima volta che si sente parlare del supporto che Teheran concede a gruppi terroristici.
Torniamo però alla conferenza; il ministro della Pubblica Sicurezza israeliano, Avi Ditcher, ha fatto sapere sabato, durante un incontro con la stampa tenutosi a Philadelphia, che “la conferenza di Annapolis non è un esperimento scientifico e gli israeliani non sono cavie da laboratorio”.
La conferenza sul Medio Oriente sponsorizzata dagli Usa, dovrebbe secondo lui, “aiutare entrambi gli stati, con l’assistenza degli Usa, del Quartetto e delle nazioni arabe moderate, ad implementare finalmente il primo stadio della Road Map”. Il ministro israeliano ha poi aggiunto che i palestinesi dovrebbero creare gli istituti necessari all’applicazione delle leggi come un corpo di polizia, delle prigioni e un sistema legale valido prima di poter essere presi seriamente in considerazione come entità statale.
La prima fase della Road Map prevede che i palestinesi si occupino di smantellare una volta per tutte le infrastrutture terroristiche e che gli israeliani blocchino gli insediamenti illegali, la riuscita implementazione di queste misure dovrebbe poi passare al vaglio degli americani. Dopo l’incontro di venerdì, alcune fonti ufficiali hanno dichiarato che “il bug della Road Map è stato risolto e le trattative possono continuare”, se fosse così, forse ci troveremmo davvero in una nuova era. Speriamo.