“Vi spiego come e perché i social hanno cambiato per sempre la politica”

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“Vi spiego come e perché i social hanno cambiato per sempre la politica”

“Vi spiego come e perché i social hanno cambiato per sempre la politica”

19 Giugno 2019

Angelo Astrei, classe 90, attualmente CMO di Poetronicart, una giovane startup Triestina, vive e lavora tra Roma e Milano. Appassionato di comunicazione, giornalismo e mondo digitale, si auto definisce un content creator di professione. Ogni mattina pubblica un commento audio sul suo canale telegram ed è convinto che una buona storia possa cambiare il mondo. Lo abbiamo intervistato per comprendere come la politica sia cambiata per via dei social.

Inutile girarci attorno: Matteo Salvini ha vinto le elezioni europee. I social sono stati determinanti. Questo viene raccontato dagli operatori di settore, ma in realtà questo ambito, per chi non se ne occupa, rimane un “zona d’ombra”. Sì, la comunicazione social è centrale, ma ci riusciresti a spiegare in poche parole come funziona quella di Salvini e perché sposta tutti questi consensi?
I social sono oggi la fonte di fruizione principale di informazione e, seppur la televisione resti l’unico vero media mainstream in Italia, la comunicazione digitale gode di una vicinanza che non è paragonabile con le altre. In qualche modo, e per qualche strano meccanismo, viene letta come più autentica e sincera.  Salvini, come tutti del resto,
questo l’ha capito. Poi il punto è saper utilizzare la il mezzo più che capirne la portata. Tutti sappiamo che una ferrari è una macchina strepitosa, pochi saprebbero guidarla a 300km/h in pista e casomai vincere la gara. Il vice-premier comunque ha costruito un messaggio semplice, chiaro e (come dimostrato dai fatti) efficace.Sai, c’è questo bellissimo intervento che fece Simon Sinek al TedX di qualche anno fa dove racconta e spiega come i consumatori comprino in virtù del perché ancora prima che del che cosa. Questo modello si può replicare benissimo al mondo politico. Salvini “vende”, e utilizzare questo termine è triste ma non per questo sbagliato, un perché, non un che cosa. Vende il suo “prima gli italiani”. Chiaro, semplice e (come dimostrato dai fatti ) efficace. Poi fa leva sulla paura e non c’è collante più forte del terrore. Non è la prima volta che storicamente assistiamo a un’operazione del genere: paura di guerre, di dittature, di comunisti mangia bambini pronti a spuntare da dietro l’angolo. È una strategia e la paura dell’immigrato funziona. Quindi, un messaggio chiaro e basato sul perché, un collante  forte che genera senso di appartenenza e la creazione di una community di privilegiati che interagisce (guarda il vinci salvini) sono gli ingredienti perfetti non di una campagna elettorale ma di qualsiasi operazione di marketing che abbia l’ambizione di riuscire nel proprio scopo.

Matteo Salvini ha sfondato anche tra i cattolici. Paglioncelli ha certificato come il 30% di coloro che si professano cristiano-cattolici abbia optato per la Lega. Il dato, tra tutte le formazioni politiche, è quello più alto. Perché?
Intanto credo ci voglia coraggio a raggruppare i cattolici come un gruppo “fine tuned”, è un’etichetta che oggi ha i contorni molto più sfumati rispetto a quanto non fossero solo qualche anno o decennio fa. Detto questo però sembra che le statistiche, con tutti i loro limiti, siano chiare: 1 su 3 ha votato per la lega. I motivi, a mio modo di vedere, possono essere rintracciati in una molteplicità di fattori. Intanto la mancanza di alternativa, la sinistra di certo non sta esprimendo candidati che si rifanno ai valori cristiani, in particolare sui temi bioetici. Poi, un’altra volta la chiarezza del messaggio, in un momento di crisi è facile fidarsi e affidarsi a un leader ritenuto meritevole e delegare le scelte.

Hanno ragione quei teorici che sostengono che i social network servono solo a trovare una conferma del proprio pensiero? Sono identificatori di convincimenti? Oppure creano anche una narrativa che poi i politici devono/possono sfruttare a loro vantaggio?
I dati sono l’oro del 2000 e i social la loro miniera. Siamo tutti schedati, questa volta si, fine tuned, targhettizati e inseriti in categorie estremamente precise. Poi c’è il concetto di echo chamber, sostanzialmente un sistema che (sui social) porta a consolidare le proprie posizioni più che a metterle in discussione. Non è un caso che i contenuti ci arrivino o già “litigati” oppure affini alle nostre posizioni di partenza.

Hai studiato costi e gestione dei social network da parte dei partiti in funzione del rinnovo del Parlamento di Strasburgo, Lussemburgo e Bruxelles. Io ho già ascoltato il tuo podcast, ma magari i nostri lettori no. Ci racconti un po’ com’è andata?
Facebook ha fatto questa cosa molto bella di mettere a disposizione l’entità delle cifre spese dai partiti in pubblicità. E, per quanto sia un sistema, come tutti, non esaustivo, è sicuramente un punto di partenza valido. Io non ho fatto altro che prendere questi dati open source e quello che è venuto fuori è curioso. PD, Lega e Forza Italia hanno speso più di 100K in advertising nel periodo marzo-maggio 2019, FdI e M5S rispettivamente 29 e 19.È interessante vedere poi le scelte strategiche. I partiti di centro destra hanno deciso di puntare la loro comunicazione, e di conseguenza di spendere il budget, sulle pagine dei rispettivi leader. Gli altri invece hanno preferito “investire” sui profili ufficiali del partito. I numeri su questo parlano chiaro, la classifica in termini di spesa è: PD, Lega, Forza Italia.

La comunicazione del MoVimento 5 Stelle non funziona più? Se sì, perché?
Di sicuro hanno investito meno in advertising online. I dati lo evidenziano in modo chiaro. Non conosco le ragioni ma, come abbiamo visto, il M5S ha speso ⅓ di quanto abbiano fatto il PD, la Lega e Forza Italia. Questo sicuramente ha influito sulla diffusione del messaggio.
Poi il vero successo dei pentastellati nel 2013, anno della prima vera esplosione alle politiche, in molti lo attribuirono ai social. Io ho una visione un po’ diversa a riguardo.
Grillo in quel caso ebbe l’enorme capacità di essere costantemente in TV grazie ai servizi che lo riprendevano sui palchi di tutta Italia mentre diceva di non voler andare in Tv. Un loop tanto paradossale quanto geniale. E poi il messaggio anche in quel caso era semplice: ci sono gli altri e poi ci siamo noi. Il perché profondo del messaggio era: perché gli altri hanno rovinato l’Italia. Per votare i 5 stelle non importava il cosa o il che come (per tornare alle variabili di Sinek), solo il perché. Questo sicuramente ha perso di appeal negli ultimi anni e il messaggio, il perché, è andato sbiadendo.

Hai avuto modo di occuparti pure delle modalità comunicative di Donald Trump, specie durante la scorsa campagna elettorale per le presidenziali. A distanza di quasi quattro anni, come giudichi l’operato comunicativo di The Donald da presidente? Pensi che possa farcela di nuovo? La sensazione è che nel 2016 sia andata così soprattutto per la presenza di Hillary Clinton…
Le previsioni su Trump sono sempre un’incognita di proporzioni smisurate però forse può valere, per alcuni versi, il discorso fatto per i 5 stelle e mi spiego: in termini comunicativi la sorpresa e la novità sono dei valori importanti che fanno presa sulle persone ma che, in quanto tali, sono destinati ad affievolirsi con il tempo. Trump ha un modo di comunicare chiaro, semplice, diretto, schietto. Che, prima dell’elezione alla casa Bianca, era supportato da gesti eclatanti (vedi la celebre partecipazione all’incontro di wrestling) non imbrigliati da alcun protocollo. Ha sostanzialmente dato vita a un format che è piaciuto agli americani e che, abbinato a una narrazione emotiva, lo ha portato a vincere nel 2016. Lo scoglio ora è decisamente più impegnativo per lui. Perché se da una parte la sua forza dirompente ha perso fisiologicamente di appeal, dall’altra non è detto che sul candidato avversario si cadranno gli stessi scandali che precipitarono addosso alla Clinton in campagna elettorale.

Un libro, un film e un canzone ai quali ti ispireresti se oggi dovessi rilanciare o costruire un grande partito conservatore e liberale, che faccia da anticamera al sovranismo populista.
La macchia umana e La Forza della ragione (perché sono gli ultimi due libri di narrativa che ho letto); Blackmirror perché la tecnologia è il tema costituente e non costituito e il futuro che ci racconta non è distopic ma futuribile; con la canzone entro in crisi nera e proprio perché è nera ti dico: Blackbird.

La medesima domanda, ma per un partito di centrosinistra che sappia comunicare con il ceto medio e con gli operai: i voti che il Pd non riesce proprio a recuperare.
Qui mi viene più facile: l’anima di Kean Loach.

Chi sarà, nel palcoscenico politico italiano, il prossimo leader a stupire da un punto di vista comunicativo e perché.
Purtroppo mi piacerebbe avere un nome e un cognome ma non è così. Posso dire che un leader si costruisce anticipando i trend, sapendo sfruttare le tecnologie e anticipando – ma non troppo – le mosse degli avversari. Inoltre il prossimo leader vero probabilmente sarà il primo che parlerà ad elettori non digital divided, alcuni elementi che oggi sorprendono domani non sorprenderanno più ma anzi saranno alla base di qualsiasi tipo di comunicazione. Sicuramente la gamification è un processo che sta portando risultati interessanti e sarà curioso assistere alla contaminazione con le campagne elettorali. E curioso non significa bello né tantomeno giusto.