Dalla Libia segnali di pace: l’Italia può giocare un ruolo
25 Settembre 2020
In Libia si stanno aprendo significative e concrete prospettive di dialogo e di pace tra le fazioni che da anni ormai si battono per la conquista del potere.
Sirte smilitarizzata
Questa mattina il quotidiano emiratino “Al Ittihad”, ripreso dall’agenzia di stampa Nova, ha riferito che è stato raggiunto un accordo per fare di Sirte la sede provvisoria delle istituzioni esecutive e legislative libiche. In particolare le sessioni della Camera dei rappresentanti dovrebbero tenersi nel complesso “Ouagadougou”. Per garantirne la sicurezza verrà avviata la formazione di una forza di polizia cittadina (che sarà operativa anche ad Al Jufrah), composta da elementi provenienti dalle tre regioni in cui è diviso il paese – Tripolitania, Cirenaica e Fezzan – e soggetta all’autorità di un nuovo presidente del Consiglio presidenziale. “Al Ittihad” cita fonti vicine al generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico (LNA), e al presidente del Parlamento di Tobruk Aguila Saleh.
Oltre alla smilitarizzazione delle città contese di Sirte e Al Jufrah, al centro della soluzione sarebbe anche una supervisione internazionale sulla Banca Centrale libica e il cambio dei vertici delle cosiddette “sette posizione sovrane”, al centro dei colloqui che si svolgeranno dal 27 settembre in Marocco, a Bouznika. La circostanza è stata confermata anche da Abdel Salam Safrani, membro dell’Alto Consiglio di Stato e del Partito Giustizia e Costruzione dei Fratelli musulmani.
Le “sette posizioni sovrane” sono le cariche cui fa riferimento l’articolo 15 dell’Accordo politico concluso a Skhirat il 17 dicembre 2015, base legale del Governo di Accordo Nazionale (GNA) e concernono la nomina del governatore della Banca centrale della Libia; del capo dell’Ufficio di revisione; del responsabile dell’Autorità di controllo amministrativo; del capo dell’Autorità per la lotta alla corruzione; del capo e dei membri dell’Alta Commissione Elettorale Nazionale; del capo della Corte suprema; del Procuratore generale.
L’accordo tra le forze dell’LNA e le milizie del GNA sulla smilitarizzazione di Sirte è stato confermato anche dal quotidiano panarabo al Sharq al Awsat.
La fine del blocco della produzione petrolifera
Gli ultimi, evidenti progressi del negoziato di pace sono il frutto della nuova situazione venutasi a creare con lo sblocco della produzione petrolifera e della relativa commercializzazione.
Dopo oltre sette mesi di sospensione è stata la Unipec, filiale della compagnia cinese Sinopec, la prima azienda a riprendere i trasferimenti di greggio dal golfo della Sirte.
Il 18 settembre il vicepresidente del Consiglio presidenziale libico Ahmed Maiteeq aveva rilasciato una dichiarazione in cui annunciava la ripresa della produzione di petrolio nel Paese.
Quasi contestualmente c’era stato un comunicato ufficiale del generale Haftar che confermava la decisione. Proprio il generale Haftar aveva imposto la sospensione della produzione e della commercializzazione del petrolio, su pressione dei capi delle tribù della Cirenaica e del Fezzan.
La Libia è il paese più ricco di petrolio dell’intero continente africano. Le riserve petrolifere ne costituiscono la principale risorsa economica, ma solo la National Oil Company (NOC), la compagnia di Stato, è autorizzata a venderle, con l’obbligo di redistribuire i ricavi a tutte le regioni che compongono il paese.
Secondo i rappresentanti delle tribù, però, nel periodo gennaio-febbraio, i fondi erano stati distribuiti in modo non uniforme e la maggior parte del denaro è finito nelle casse delle bande criminali e dei gruppi islamisti che controllano Tripoli, dove hanno sede sia la NOC, sia la Banca Centrale libica, che hanno il compito di ripartire le risorse.
Secondo Bloomberg, a causa del blocco, la Libia ha perso 9 miliardi di dollari, generando una grave crisi in tutto il paese, già martoriato dal conflitto civile, e proteste di pazza sia nella parte occidentale che nella parte orientale del territorio nazionale.
Le tensioni sociali hanno provocato seri rivolgimenti politici: non solo alla fine di agosto è stato proclamato il cessate il fuoco da parte di tutte le parti in conflitto, ma la scorsa settimana Fayez al-Sarraj ha annunciato la sua intenzione di farsi da parte, dopo le dimissioni del capo del governo avversario, Abdullah al-Thani, legato al Parlamento di Tobruk.
La ripresa del funzionamento degli impianti produttivi petroliferi e dei porti è il frutto dell’intesa tra Ahmed Maiteeq e Khalifa Haftar. Uno speciale comitato di garanzia sarà chiamato a supervisionare la qualità del lavoro svolto e l’equa distribuzione dei profitti derivanti dalle vendite. Verrà inoltre istituito un bilancio comune.
La normalizzazione della produzione di petrolio e la distribuzione responsabile delle risorse potrebbero creare la base economica su cui fondare il processo di pace e la riunificazione del paese.
Il ruolo dell’Italia e dell’Europa
La ripresa dei negoziati dovrebbe garantire ai politici protagonisti dell’intesa il sostegno dei paesi le cui aziende petrolifere sono state maggiormente colpite dalla sospensione delle esportazioni, ovvero Francia e Italia.
Più in generale, l’accordo tra Maiteeq e Haftar è nell’interesse di tutti gli Stati europei, nella misura in cui la stabilizzazione della Libia è necessaria all’intera Unione anche per altre ragioni, a cominciare dalla conseguente, prevedibile diminuzione del flusso dei migranti diretti verso il Vecchio Continente.
L’Italia, che in questo momento è alle prese anche con la vicenda dei 18 pescatori di Mazara del Vallo fatti prigionieri in Cirenaica, potrebbe proporsi come principale garante dell’accordo Maiteeq-Haftar.
Un impegno necessario, sia perché consentirebbe a Roma di recuperare il proprio ruolo nel contesto libico, sia perché non tutti in Libia vedono positivamente la ripresa di un processo di pace.
In particolare i leader politici e militari vicini ai Fratelli Musulmani stanno cercando di frapporre ostacoli all’intesa: il riferimento è al capo del Consiglio Supremo di Stato, Khaled al-Mishri, comandante della Zona Militare Occidentale; al maggiore generale Osama al-Juwaili e a Mohamed Sowan, guida della sezione libica della Fratellanza Musulmana.
L’ostilità della componente islamica è comprensibile. Ahmed Maiteeq è un leader laico, un uomo d’affari pragmatico, che non ha mai voluto collaborare con terroristi ed estremisti, a differenza di altri esponenti del GNA, e che ha dimostrato più volte qualità di abile diplomatico, ben visto tanto a Washington quanto a Berlino, Ankara e Mosca.
L’accordo con Haftar ha notevolmente rafforzato la sua posizione, al punto che Ahmed Maiteeq sarà in condizione di rivendicare la carica di presidente del Consiglio presidenziale libico, una volta che Fayez al-Sarraj si sarà effettivamente dimesso ad ottobre.
E’ chiaro che in un simile scenario la posizione degli islamisti risulterebbe fortemente ridimensionata, ma potrebbe finalmente essere possibile un concreto processo di pace. Un GNA guidato da Maiteeq potrebbe trovare una comune base di discussione con i rappresentanti della Libia orientale e meridionale e, trattandosi di una figura estranea alla Fratellanza Musulmana, nonché di un politico esperto e apprezzato per la sua moderazione (nel 2014 ricoprì la carica di primo ministro), Maiteeq potrebbe essere accettato anche dall’LNA. E dalle varie potenze straniere immischiate nel ginepraio libico.