
Lega e 5 Stelle, il leader cede una fetta di regno. Ma potrebbe essere un bene

28 Settembre 2020
Per i 5 Stelle si tratta di un direttorio allargato o meglio, come spiegato anche ieri da Luigi Di Maio ospite del sempre ossequioso Fazio, di una direzione collegiale da creare attraverso gli Stati Generali, chiamati apertamente col vecchio e tanto vituperato nome di ‘congresso’ dal ministro degli Esteri. Per la Lega, invece, si parla di una segreteria da affiancare a Matteo Salvini, affinché l’indirizzo politico diventi d’ora in poi frutto di scelte condivise. In realtà, al di là della differente terminologia, il percorso disegnato è identico: la debacle 5 Stelle e la mezza sconfitta 3 a 3 della Lega alle Regionali costringono i leader dei due partiti a rinunciare alla leadership solitaria per condividere le responsabilità della crisi. Insomma, per non abdicare, il capo politico, l’uomo che in tempi di vittoria nessuno metteva in discussione, è costretto a dire addio alla monarchia assoluta, per non portare da solo sulle spalle il peso della crisi e, in fondo, per sopravvivere a se stesso.
E’ evidente che la situazione per i 5 Stelle è ben più drammatica rispetto a quella in cui versa il Carroccio, ma il principio appare il medesimo e risponde alla vecchia regola economica del condividere le sconfitte e intestarsi le vittorie. Se da un lato fa sorridere vedere il giacobinismo e la presunta diversità ontologica dei 5 Stelle tradotti nel più scontato rituale della vecchia politica, con congressi, correnti e manuali Cencelli, deve fare riflettere in modo più articolato questo new deal in casa Lega.
E’ vero che Salvini, anche sulla spinta dell’ascesa di Zaia, ha dovuto cedere obtorto collo una fetta della sua leadership e che in condizioni diverse mai avrebbe acconsentito a un percorso simile, ma questa apertura alla collegialità per una realtà strutturata come la Lega, esente a differenza dei 5 Stelle da velleità anti-partitiche e da spirito anti-alleanze, potrebbe avere inaspettati risvolti positivi.
Il percorso per la tanto auspicata creazione di un nuovo centrodestra, infatti, non può che mettere al centro il dialogo e la sintesi tra anime diverse. Giusto non rinunciare alla leadership carismatica in campagna elettorale, ma appare indispensabile in fase progettuale un ritorno alla politica intesa come cantiere di idee distinto dal capo di turno. Capo che poi va ovviamente scelto, ma a valle non a monte di tale percorso. Ecco allora che la Lega, partito che ancora oggi guida a livello numerico la coalizione, aprendo un cammino di questo tipo, potrebbe fare da laboratorio interno di una discussione e di una visione collegiale da esportare a tutta la coalizione. Per puntare a un vero e proprio miracolo politico: costruire un centrodestra plurale che punti, per la prima volta, a condividere anche le vittorie.