
Cesare Prandelli e il coraggio di affrontare l’abisso: quando la debolezza è la vera forza

24 Marzo 2021
“In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono”… “In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose”… “Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti e non voglio averne. Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono”…
E’ una lettera che va ben oltre lo sport quella con cui Cesare Prandelli si è dimesso ieri dalla guida tecnica della Fiorentina, rinunciando a stipendio e ruolo in una società e in una città che – al di là dei risultati – lo ama incondizionatamente. L’ombra di cui parla Prandelli, l’assurdo disagio che evoca è qualcosa di imperscrutabile che le parole riescono solo a sfiorare. Prandelli con le sue frasi sincere e commoventi indica con semplicità il baratro in cui tutti nella vita prima o poi incappano. Il baratro che capovolge le certezze, che mette a nudo le fragilità della condizione umana, lo specchio profondo che mostra nella sua crudezza le domande ultime che con ostinazione l’uomo, indipendentemente dalla sua condizione o dai successi, cerca di dimenticare.
Chi siamo? Dove andiamo? Che senso ha tutto questo? I sorrisi, il pianto, le sconfitte, le vittorie, i colori della primavera e il sonno dell’inverno? All’apparir del vero gli occhi neri di Prandelli sembrano essersi spostati dalla pianura del qui e ora alle montagne russe dell’oltre. E tornare indietro è impossibile. Certamente il periodo storico, le contingenze, i dolori del momento, gli amori inaspettati, i lutti passati, anche quelli più strazianti, possono influire sul palesarsi di questo abisso, ma non è detto, a volte, per citare Willie Nelson, inizia a piovere proprio in un giorno di sole. A volte accade che all’improvviso le cose non siano più le stesse.
E non è neppure detto che quella pioggia, quella paura, sia un male. Saulo cade da cavallo, Dante smarrisce la retta via… e da lì inizia una storia nuova. Accettare di perdere tutto, di mettersi a nudo a dispetto di un amor proprio finto e ipocrita, accettare di morire a se stessi per ritrovarsi e per rinascere. Suggerisce questo la lettera di Prandelli, troppo velocemente etichettata come una dolce manifestazione di debolezza, come l’atto troppo umano di una persona buona e, quindi implicitamente, fragile. O addirittura come la manifestazione di una vera e propria patologia in una società che deve etichettare tutto, curare ogni cosa, scandagliare la mente, per normalizzare l’infinito e omogeneizzare l’arcobaleno stesso.
E’ quando sono debole che sono forte, proclamava San Paolo e forse ieri, proprio con la sua lettera ‘debole’, l’allenatore della Nazionale che mise insieme le eterne promesse Cassano e Balotelli, che riuscì a portare il loro genio sregolato sulla terra, ha dimostrato di non essere mai stato così forte.