Prodi spera di salvarsi la vita  con i senatori a vita

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Prodi spera di salvarsi la vita con i senatori a vita

22 Gennaio 2008

Tutto sta in quel
“potrei farcela anche stavolta” pronunciato da Romano Prodi prima di entrare a
Montecitorio per la prima tappa della sua via crucis parlamentare. Il
presidente del Consiglio arriva alla Camera in tarda mattinata per informare i
deputati sullo stato della crisi di governo. E per “parlamentarizzarla”, cioè spostarla
“dalle agenzie di stampa” e dai “salotti televisivi” restituendole una sede più
propria. Parla, il Professore. Lo fa per una ventina di minuti rivendicando i
successi (?) del proprio governo. Il delicato momento politico consiglierebbe
prudenza. E invece il premier parte all’attacco. Vuole stanare i dissidenti.
Capire se il vero nocciolo della questione sono davvero i problemi con la
giustizia di Clemente Mastella, o “la questione della legge elettorale” e il
timore dei partiti più piccoli dell’Unione di finire fagocitati dal Partito
democratico.

 

Risultato? Prodi
chiede alle camere di rinnovargli la fiducia. O la va o la spacca. A Montecitorio,
anche senza l’Udeur, la maggioranza è autosufficiente e può andare avanti. I
problemi come al solito arrivano dal Senato. Tant’è che più di un alleato ha
consigliato al Professore di incassare il voto dei deputati e filare dritto al
Quirinale lasciando la palla nelle mani del presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano, piuttosto che esporsi al rischio della sfiducia da parte
dei senatori, che in molti già danno per cosa certa. Romano però va per la sua
strada. Istinto suicida o sa il fatto suo?

Facciamo due conti.
Da quando Franco Turigliatto (Sinistra critica) ha ufficialmente abbandonato il
centrosinistra, ora i due schieramenti sono in perfetto equilibrio: 157 a 157. All’Unione, però,
vanno sottratti i voti dell’Udeur. Sono 3, compreso quello dell’ex
Guardasigilli. E, se è vero quanto dice Mastella (“siamo fuori dalla
maggioranza e non diamo appoggio esterno”), vanno aggiunti al computo del
centrodestra. Per cui, la situazione all’indomani del Ceppaloni-gate, è la
seguente: 160 seggi per l’opposizione, 154 per il centrosinistra. Partita
finita? Assolutamente no. Perché c’è sempre l’additivo in grigio, e cioè il
sostegno dei senatori a vita. Con loro, Prodi potrebbe recuperare il gap: tolto
il senatore Sergio Pininfarina, in quattro (Rita Levi Montalcini, Carlo Azeglio
Ciampi, Emilio Colombo,
Oscar Luigi Scalfaro) votano stabilmente con il centrosinistra. Va a fasi
alterne, invece, Giulio Andreotti. Ma stavolta ha già annunciato il suo sì.
Rimane nel dubbio l’orientamento di Francesco Cossiga, tuttavia il presidente
emerito, quando il proprio voto è stato determinante per le sorti
dell’esecutivo, ha sempre dato una mano nonostante i giudizi mai teneri su
Prodi e compagni.

 

Tirando le somme:
l’Unione, più i senatori non eletti, raggiungerebbe quota 160, come il
centrodestra. Basta? Non basta. Perché in caso di pareggio la fiducia non passa
ugualmente. E allora al Senato, in queste ore, è corsa frenetica alla seduzione
di esponenti dell’opposizione. Come, lo si più facilmente intendere. Tant’è che
più voci nel centrodestra già gridano “al mercato delle vacche”. Alla fine
basterebbero una o due assenze per abbassare il quorum e spostare l’ago della
bilancia in favore del governo.

 

Altro scenario: i
senatori mastelliani invece di votare contro non partecipano al voto. Ciò
riporterebbe il centrosinistra in vantaggio numerico grazie al sostegno dei
senatori a vita. Possibile? Tutto tecnicamente lo è. Intanto, a Palazzo Chigi
lavorano per mettere in sicurezza il consenso degli altri “eretici”.
L’operazione sembra riuscita con Roberto Manzione e Willer Bordon. Ma anche con
gli uomini di Lamberto Dini. Mentre si sta tentando di spingere Turigliatto verso
un’assenza “forzata”. Un voto di differenza significa la sopravvivenza per il
governo. Ma pure il collasso.