Prodi fa i conti ma senza Veltroni
23 Gennaio 2008
Li conta e li riconta, quei voti. Eppure non aumentano, anzi diminuiscono. Motivo per cui raccontano di un Romano Prodi molto meno ottimista sull’esito della fiducia in Senato. Specie dopo le dichiarazioni di voto contrario incassate nell’arco della giornata, l’esito apparentemente negativo del tentato shopping di senatori del centrodestra, e le prospettive per il “dopo”, che lo vedrebbero sempre più professore a tempo pieno.
Con ordine: la mattinata prodiana è fatta di alti e bassi. Ancora ci spera, il presidente del Consiglio, quando l’Udeur annuncia che non parteciperà al voto di fiducia alla Camera. Se la tattica degli uomini di Clemente Mastella va in replica anche a Palazzo Madama, riflette Prodi, è fatta: nel qual caso, infatti, l’Unione ha tre voti in meno rispetto al centrodestra (154 a 157) ma con l’aiuto dei senatori a vita (sei su sette hanno già annunciato il proprio sostegno al governo) la si può sfangare ancora una volta. L’euforia è effimera, però. Dura pochi minuti. A rovinare i piani è Domenico Fisichella. L’ex senatore di An, passato con la Margherita, ora dissidente, annuncia il suo voto contrario. “Rapporto finito”, dice e non darà la fiducia a Prodi. Dopo poco, viene allo scoperto anche Lamberto Dini. Doveva essere lui il cecchino del governo. Ora gli tocca rincorrere Mastella e Fisichella. Lambertow consiglia a Prodi di non farsi proprio vedere al Senato: lui e i suoi gli voterebbero contro. Anche i mastelliani a questo punto precisano le loro intenzioni: a Montecitorio si astengono per questioni di bon ton (chiedendo la fiducia Prodi aveva avuto parole di elogio per il Guardasigilli dimissionario), ma al Senato il professore s’attacca: i loro voti si sommeranno a quelli del centrodestra. Ancora il pallottoliere: adesso, al netto delle defezioni dell’Udeur, del padre fondatore di An e dei liberaldemocratici, l’Unione ha appena 150 voti. Troppo pochi e tali da rendere persino inutile la chiamata alle armi di Rita Levi Montalcini e compagnia.
A questo punto, Prodi sale al Quirinale. Ed è il presidente della Repubblica in persona, Giorgio Napolitano, a invitarlo a incassare la fiducia a Montecitorio, scontata, e a dissuaderlo da prove di forza nella camera alta. E’ possibile che il Professore ascolti il monito: anche perché nessuno dei senatori del centrodestra – Udc, Forza Italia, Dc per le autonomie, ma anche Lega per ammissione dello stesso Umberto Bossi – ha ceduto alle lusinghe degli ambasciatori prodiani. Né, a quanto pare, dovrebbero scatenarsi, nelle file dell’opposizione, epidemie di prostatite come annunciato, più o meno scherzando, dal senatore a vita Francesco Cossiga.
E ora? Tra gli altri, circola un possibile scenario: ottenuta la fiducia a Montecitorio, senza prestarsi alle forche caudine del Senato, Prodi potrebbe andare diritto al Quirinale, tornando reicaricato con un mandato esplorativo. La prospettiva potrebbe essere quella di un esecutivo di pochi mesi in vista del voto anticipato. Cosa ci guadagnerebbe il Professore? Il vantaggio di arrivare alle urne come premier uscente. E la possibilità di contendere la candidatura a Walter Veltroni. Fantapolitica. O forse no.