Adozioni gay, su diritti e doveri decide la politica non i giudici

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Adozioni gay, su diritti e doveri decide la politica non i giudici

Adozioni gay, su diritti e doveri decide la politica non i giudici

24 Gennaio 2008

Con una
sentenza depositata il 22 gennaio, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha
affermato la violazione, da parte della Francia, degli articoli 8 e 14 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo – che garantiscono rispettivamente il
diritto al rispetto della vita privata e familiare e il divieto di
discriminazione – nei confronti di una signora omosessuale alla quale era stata
negata la possibilità di ottenere l’adozione di un bambino.

Deve sin da
subito precisarsi che tale decisione difficilmente potrà ripercuotersi
sull’ordinamento italiano.

Infatti, le
sentenze della Corte di Strasburgo devono essere lette ricordando che esse prendono
in considerazione esclusivamente la situazione normativa del Paese chiamato a
rispondere della violazione della Convenzione.

La decisione
della Corte va dunque analizzata tenendo ben presente che la normativa
francese, a differenza di quella italiana, consente l’adozione da parte dei single in base ad una esplicita
previsione legislativa (cfr. art. 343-1 del codice civile francese).

Affermare che il
principio espresso in questa sentenza della Corte europea possa ripercuotersi
in tutti i Paesi che hanno aderito alla Convenzione è dunque errato, e va
escluso che dalla sentenza della Corte di Strasburgo possa derivare per
l’Italia un obbligo a consentire alle persone singles omosessuali di ottenere l’adozione.

Anche al di
là dell’aspetto appena visto, la decisione presa dai giudici di Strasburgo lascia
perplessi. D’altra parte, ben sette (su diciassette) dei componenti della Corte
hanno votato contro la decisione.

Ricostruendo
sinteticamente la vicenda, va segnalato che la signora ricorrente –convivente
con una donna da lungo tempo – aveva fatto istanza per ottenere l’adozione di
un bambino, evidenziando che la sua partner
non avrebbe avuto alcun ruolo nell’adozione.

La domanda era
stata costantemente respinta dalle competenti autorità amministrative e
giurisdizionali francesi.

Due i motivi posti
alla base della negata autorizzazione: da una parte, la mancanza di una chiara figura
paterna  e materna e dunque l’ambiguità
dei ruoli dei membri della famiglia; dall’altra parte, il comportamento della partner della signora che aveva
richiesto l’adozione, che si era disinteressata alla adozione stessa.

La Corte ha ritenuto
quest’ultimo motivo privo di effetti discriminatori, in quanto è compito delle
autorità preposte verificare esattamente quale sia la situazione della
“famiglia” cui l’adottato è destinato.

La Corte europea
ha invece rilevato – forse sconfinando nello spazio di discrezionalità
riservato dalla legge alle autorità amministrative – che il primo dei motivi
addotti era soltanto un pretesto: nel presente caso siamo in presenza di una single e dunque il requisito della
mancanza di una ben definita figura materna o paterna nella famiglia
dell’adottante nasconde un rifiuto arbitrario ed è un mero pretesto per respingere
la richiesta della ricorrente, in realtà discriminata a causa della sua
omosessualità.

Secondo la
Corte, dunque, in tutte le decisioni delle autorità francesi, l’orientamento
sessuale della signora ricorrente è stato – quantomeno implicitamente – un
fattore determinante per negare l’adozione. Ciò ha dunque realizzato di fatto
una discriminazione irragionevole vietata dall’art. 14 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo.

Uno degli
aspetti che più colpisce di questa decisione è l’attenzione esclusiva dedicata
al presunto “diritto” di adottare degli adulti e la scarsa attenzione dedicata
alla condizione del minore adottando.

La domanda fondamentale
– su cui la Corte forse non si interroga a sufficienza – è se esista davvero un
diritto ad adottare in relazione al quale possa valere il divieto di
discriminazione. L’impressione di chi scrive è che parlare di diritto sia in
questo caso improprio. Uno dei giudici della Corte che ha votato contro la
decisione parla a tal proposito di “privilegio”. Se proprio si vuol continuare
a parlare di diritto, non dovrebbe farsi l’errore di considerare tale diritto
privo di qualsiasi condizione.

In secondo luogo,
la Corte, a ben vedere, propone un’applicazione del principio di non
discriminazione valido solo se si guarda al “diritto” degli adulti: la
discriminazione rimane, ed è evidente, se invece ci si sofferma ad analizzare
la situazione dei minori, che saranno privi – a differenza della maggior parte
dei loro coetanei – della possibilità di poter vivere e crescere con una figura
paterna e una figura materna. Non si tiene mai troppo in considerazione il
fatto che, nelle vicende dell’adozione, c’è sempre un bambino che ha già dovuto
affrontare una situazione già particolarmente difficile; un bambino, dunque,
che deve poter continuare a vivere nelle condizioni più naturali possibili.

Infine, deve
sottolinearsi il fatto che dalla decisione della Corte europea non possono in
alcun modo trarsi, come si è detto anche all’inizio, indicazioni a favore di
scelte etiche di un determinato tipo, soprattutto per ordinamenti diversi da
quello francese.

D’altra parte, è
ben noto che non deve spettare ai giudici – di nessuna autorità e grado – il
compito di determinare i valori cui le società devono ispirarsi.

Determinate
scelte devono necessariamente essere effettuate dai legislatori. Come ha efficacemente
osservato attenta dottrina, “la decisione
sui diritti e sui doveri è concepita come una decisione
politica che non può essere affidata ai giudici.
Nello Stato costituzionale di diritto (quanto meno nella sua versione
continentale, appunto), i giudici svolgono un’opera essenziale di
protezione dei diritti fondamentali, ma questa non può
sovrapporsi all’azione degli organi politici e trasformarsi in opera di
creazione di quei diritti” (M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur. Cost., 2006).

Se questo
discorso è valido per i giudici nazionali, a maggior ragione esso si rivela
necessario per un giudice come la Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata
ad analizzare le decisioni legislative e amministrative dei singoli Stati e a
verificarne la conformità con un trattato internazionale – quale è la
Convenzione ­europea dei diritti dell’uomo – dai contenuti particolarmente
elastici. 

Diversamente, il
rischio è quello di decisioni che si rivelino persino contrarie alla volontà del
legislatore che – non va dimenticato – è sempre espressione del popolo sovrano.