Il malcontento democratico contro Veltroni

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Il malcontento democratico contro Veltroni

05 Marzo 2008

E’ l’ora del “malcontento
democratico” e della conta dei feriti. Presentate le liste, il Pd cerca di
riassorbire l’ondata di ritorno e la rabbia degli esclusi illustri, la
delusione di chi si aspettava un trattamento migliore e ora prende atto di una
dura realtà. Una mappa, quella dello scontento, che va dal Nord al Sud e
attraversa il partito sia attraverso la protesta di singoli esponenti sia
attraverso la reazione di alcune componenti politiche interne.

Il caso più eclatante è
quello dei Radicali. Il caso scoppia in mattinata quando a Radio Radicale Emma
Bonino si lascia andare a uno sfogo e a un duro attacco contro Walter Veltroni.
«Ci era stata data, scritta a mano, la lista dei candidati radicali e ora
emerge chiaramente che la proposta da loro fatta dei nove eletti non è
mantenuta». Non è una questione di trattativa, ma «la certezza che siamo eletti
tutti noi non c’è». «Chiediamo e vogliamo la certezza che il Pd sia coerente con
la proposta che ci ha fatto». Poi la stoccata sugli alleati: «Ad oggi risultano
inaffidabili rispetto alle proposte che ci hanno fatto. Questa è la
situazione». Riguardo alla sua personale candidatura la Bonino avverte: «Non
intendo candidarmi in Piemonte perché non sono un soprammobile, da loro
sbrecciato che si può prendere e spostare dove vogliono. Non sono un oggetto
che può essere usato o spostato. Stando così le cose non sono nemmeno convinta
che valga la pena di essere candidata da qualche parte».

La replica di Veltroni non si
fa attendere: «I nove eletti radicali ci sono, ci sono» dice il candidato
premier del Pd rispondendo a Bruno Vespa, rassicurando i pannelliani. Ma il
giallo è presto chiarito: le nove candidature ci sono ma la posizione nelle
liste non è tale da assicurare l’elezione. E così arriva la richiesta esplicita
di Marco Pannella. Tutte le nove candidature radicali siano poste nelle teste
di lista e in due diverse circoscrizioni, almeno una della quali sia tra le più
popolose. «Per intenderci, le nove nomine radicali dovrebbero in teoria essere
le prime, le più certe, obbligate nell’ordine di presentazione di lista delle
candidature. Potremmo anche chiederlo, pretenderlo, poiché vi sono
in causa componenti e interessi patrimoniali, anche se immateriali, nella
tutela legittima del diritto alla propria immagine (e/o identità)», osserva
Pannella.

L’esponente radicale aggiunge che “con la diligenza e l’onestà del buon padre o della buona
madre di famiglia ci limitiamo invece ad esigere che tutte le nove
candidature radicali siano poste prudenzialmente almeno dopo le prime o
primissime candidature di ogni lista e, comunque, ciascuna in almeno due
diverse circoscrizioni, almeno una delle quali dovrebbe essere prescelta fra le
12 più popolose del Paese”.

La campagna per le “posizioni
sicure” non convince, però, i dirigenti del loft che replicano di aver fatto
tutto il possibile per blindare i radicali. Una tesi che non convince lo stato
maggiore di Via di Torre Argentina che reputa blindate le sole candidature di
Emma Bonino, Maurizio Turco, Marco Beltrandi, Rita Bernardini e Donatella Poretti.
Molto meno garantite le posizioni, sempre secondo il partito di Marco Pannella, di Elisabetta
Zamparuti al terzo posto in Basilicata, Matteo Mecacci quinto a Lazio 2 Camera
dove nella scorsa legislatura si elessero quattro deputati con il premio di
maggioranza, Maria Farina Coscioni quinta in Friuli alla Camera e Marco Perduca
ottavo in Toscana al Senato. A questo punto pare che i radicali per svelare
l’inganno potrebbero chiedere la prova del nove: se quei posti sono tanto sicuri, metteteci qualcuno
del Pd e date a noi le loro posizioni. E qualcuno, tanto per chiarire le cose,
ricorda che il simbolo, per precauzione, è stato comunque presentato con la dicitura
“Bonino per Pannella presidente”. Uno strappo che già in serata, in una
conferenza stampa, viene ridimensionato dallo stesso Pannella che si limita a
chiedere che “i patti vengano rispettati” e quindi venga assicurata l’elezione
di tutti e nove i candidati. “Non romperemo con il Pd. Ma useremo tutti gli strumenti perchè siano eletti” dice lo
storico leader.

Ma non c’è solo la furia dei radicali a turbare la concitata giornata post liste di
Walter Veltroni. Nelle ex sedi di Margherita e Ds, sale infatti la protesta
delle donne, molte delle quali piazzate in posizioni impossibili, con
scarsissime possibilità di essere elette. Così come non mancano le lamentele
delle donne escluse come l’ex sottosegretaria Beatrice Magnolfi. Ma la violenta
legge dei numeri ha fatto parecchie vittime illustri. Restano fuori Umberto
Ranieri, Giuseppe Lumia,  Rino Piscitello
e Nello Palombo. Ma c’è il caso soprattutto di Stefano Ceccanti, professore di
diritto pubblico comparato de La
Sapienza, lasciato alla porta con sua grande sorpresa.

Il
costituzionalista avrebbe dovuto essere candidato nella quota nazionale messa a
disposizione di Veltroni ma sarebbe stato “passato” a quella regionale, nel
caso specifico la Toscana
essendo lui pisano. In questo modo la responsabilità sarebbe ricaduta sul
segretario regionale. Quel che è certo è che la sua esclusione ha fatto rumore
visto che Ceccanti è uno dei tre detentori del simbolo de L’Ulivo e che a lui
si devono la maggior parte del programma elettorale in materia di riforme
istituzionali e anche lo statuto del Pd. Oltre a lui mancano all’appello anche
Mimmo Lucà e Marcella Lucidi, con il ridimensionamento dell’anima
cattolico-progressista. Malumore diffuso c’è anche nella pattuglia dei popolari
laziali con Silvia Costa che accusa i vertici nazionali. Così come proteste e
recriminazioni arrivano dai democratici della provincia di Siracusa che non
avranno rappresentanza né a Montecitorio nè a Palazzo Madama. Un atto d’accusa
importante visto che viene da una delle province più uliviste della Sicilia
mentre la provincia di Catania esprimerebbe ben 5 o 6 parlamentari.

Ugualmente “frizzante” la
situazione in Campania. Le scelte operate dallo stato maggiore dei Democratici
continuano a suscitare proteste e malumori. Soprattutto a Caserta dove l’unico
ad avere qualche chance di elezione è Adolfo Villani, ex diessino e
vicepresidente della Provincia. Esclusi i fedelissimi di De Mita come il
casertano Piero Squeglia e Bruno Cesario, deputati uscenti. Così come accade
per il deputato uscente Mimmo Tuccillo, vicino al ministro Beppe Fioroni. Una
«piazza pulita» che a Caserta rischia di tradursi in una sorta di «diserzione»
alla campagna elettorale, come stanno stanno meditando alcuni «pezzi da
novanta» del Pd locale. Il capofila della protesta è Sandro De Franciscis,
attuale presidente della Provincia di Caserta che ha già annunciato le
dimissioni da segretario provinciale del Pd. «Caserta e la sua provincia sono
state massacrate e ignorate. Evidentemente il Pd non ha bisogno del voto dei
casertani. A questo punto io voterò Pd, ma la campagna elettorale se la
facciano loro. Si tratta di liste – attacca – scritte in nottata e frutto di
accordi sottobanco».

Di fronte a questa ondata di proteste il Pd, per ora,
sceglie la linea della fermezza. «Come abbiamo votato ieri – dice Dario Franceschini
– solo in caso di rinunce, potranno essere sostituiti dei nomi. Statuto e
regolamento ci obbligano a questo e in base a queste regole io sono
personalmente garante del voto di ieri». L’ira dei pannelliani, però, non
accenna a placarsi. E a questo punto non sono escluse sorprese o deroghe, con
possibili correzioni in extremis. Quel che è certo è che l’idillio tra Radicali
e Pd sembra essere svanito. E il fuoco sembra destinato a covare a lungo sotto
la cenere.