E’ la sicurezza la vera priorità del PdL
05 Marzo 2008
In
democrazia si impara dai propri errori e dalle critiche degli altri. Di questo
semplice assioma abbiamo trovato conferma guardando la parte del programma del
Popolo della libertà dedicata alla sicurezza e alla giustizia, la cosiddetta
“terza missione”. Per
capirlo, però, occorre fare un piccolo passo indietro.
Nel 2001 tra
gli impegni contenuti nel contratto con gli italiani, che Berlusconi propose
come priorità del governo, c’era la promessa di un piano per la riduzione dei
crimini, dando vita a una nuova figura, il poliziotto di quartiere. Il
professor Luca Ricolfi, un osservatore non particolarmente benevolo nei
confronti del centro-destra, in un libro pubblicato nel 2006 nell’imminenza
delle elezioni politiche (Tempo scaduto. Il «Contratto con gli italiani»
alla prova dei fatti, Bologna, il Mulino), tentava di misurare il grado di
attuazione del contratto nel corso della legislatura. I risultati complessivi
non erano disprezzabili (60%). Ma il computo percentuale era fortemente
penalizzato proprio dai risultati ottenuti sul fronte della diminuzione dei
reati. Tant’è vero che questa parte del contratto risultava del tutto
inapplicata (0% di realizzazione secondo Ricolfi). Il fatto è che per il miglioramento
dell’ordine pubblico c’è bisogno di misure assai più energiche. Peraltro, nei
due anni di governo Prodi, la situazione non è certo migliorata. Misure
scarsamente inefficaci (come l’operazione alto impatto) o decisamente dannose
(come la sciagurata concessione dell’indulto per svuotare le carceri
sovraffollate) hanno sostanzialmente peggiorato una situazione già largamente
negativa, aumentando il senso d’insicurezza e la sfiducia dei cittadini.
Stando a
quanto elencato negli obiettivi della “terza missione”, sembra di
capire che i dirigenti del PdL hanno preso atto della gravità della situazione.
Insomma, pare che si voglia imboccare con decisione la strada della cosiddetta
“tolleranza zero”. Com’è noto con questa espressione si definiscono
le misure assunte con successo dalle amministrazioni municipali di New York per
ridurre il numero dei reati.
La tolleranza zero non è una
ideologia, ma una politica del territorio che parte da finalità definite e ha
bisogno di mezzi adeguati. La finalità è quella di ridurre drasticamente la
delinquenza, che impedisce il normale svolgimento della vita civile. La
modalità di intervento prevedono che si cominci a colpire duramente la piccola
criminalità nella convinzione che, riducendo il numero dei cosiddetti manovali del
crimine, non solo si migliori notevolmente la qualità della vita del cittadino
medio, ma si renda impotente e si colpisca duramente anche la grande
criminalità. Per sostenere questa politica occorrono anzitutto pene detentive
adeguate; l’aumento della popolazione carceraria che il prodotto di questa
necessaria durezza va fronteggiato con la costruzione di nuove carceri.
A leggere
gli scarni enunciati del testo diffuso (e disponibile in rete) le premesse per
un’azione più incisiva ci sono: non solo maggiori risorse per la giustizia, ma
un inasprimento delle pene e l’impegno per la costruzione di nuove carceri.
Semmai, andrebbero dettagliati con
maggiore precisione gli aumenti delle pene, per cui oltre alla abolizione degli
sconti di detenzione per i recidivi, andrebbero aumentate le pene per alcuni
reati (scippo, rapina) che sono ridicolmente bassi.
Per
concludere questo breve commento sono opportune ancora due considerazioni. La
prima di ordine generale, la seconda più specifica. Da un punto di vista generale,
una più energica azione contro la criminalità segnerebbe la piena affermazione
di una istanza liberale classica, ma sempre trascurata nel nostro paese. La
teoria liberale (a cominciare dal contrattualismo del XVII secolo) suppone che
il patto politico venga stipulato per meglio consentire il godimento dei
diritti naturali (la vita, la proprietà, le libertà fondamentali, come quelle
di espressione o di parola). Detto in una formula: l’ordine pubblico è il primo
e sicuro fondamento dell’ordine politico.
Una seconda
osservazione mi sento di formularla come abitante di una regione meridionale.
Negli scorsi anni le politiche di intervento straordinario per il Mezzogiorno
sono state messe giustamente sotto accusa. Oggi non sono riproponibili sia per
ragioni di compatibilità di bilancio, che a ragione della loro scarsa efficacia
(soprattutto in considerazione delle mutazioni sopravvenute nella composizione
del mercato del lavoro e nella concorrenza internazionale). Ebbene, un’azione
repressiva energica contro la criminalità può essere oggi il più efficace
sostitutivo delle politiche d’intervento straordinario per il Mezzogiorno.
Ridare tranquillità e fiducia a popolazioni duramente provate dall’illegalità
violenta, significa creare condizioni ottimali per la crescita economica anche
dei settori meno dinamici del paese.