Il “Qatar ban” è farina del sacco di Trump

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Il “Qatar ban” è farina del sacco di Trump

05 Giugno 2017

L’avevamo scritto che il discorso a Riad di Trump avrebbe portato a un riposizionamento nella ‘guerra mondiale’ islamica, ma nessuno, forse, si aspettava che avvenisse così presto. La “Nato araba”, com’è stata soprannominato forse un po’ troppo frettolosamente l’insieme di Paesi a cui si è rivolto Trump, sauditi e petrocrazie del Golfo, insieme all’altro peso massimo del mondo arabo, l’Egitto, e al disastrato Yemen, rompono le relazioni diplomatiche con il Qatar, l’altro stato del Golfo, accusato di brigare con Teheran e Fratelli Musulmani. Del resto negli ultimi anni bastava farsi un giro su Al Jazeera, la più indulgente delle tv arabe verso jihadisti ed estremisti di ogni ordine e grado, la “tv libera” in uno stato che libero non è, per capire che aria tirava a Doha.

Ebbene, oltre aver interrotto i voli dal paese vicino, adesso i sauditi chiudono anche gli uffici di Al Jazeera a Riad. La notizia del “Qatar ban” è di quelle grosse anche se nell’Italia che pensa alla legge elettorale si fatica a capirlo subito, eppure la borsa di Doha fa un tonfo, l’Opec ha qualche brivido, la Russia con il ministro degli esteri Lavrov si affretta a metterci una pezza, la Turchia segue a ruota, e l’Unione Europea nelle parole dell’alto rappresentante Mogherini come al solito non decide da che parte stare e fa sapere che starà con tutti. In Italia qualcuno si preoccupa che gli sceicchi qatarioti non faranno più shopping nel Bel Paese com’è successo con i grattacieli milanesi o in Costa Smeralda, ma a un certo punto della giornata i corrispondenti dei nostri telegiornali da Washington, a denti stretti e ingoiando amaro, devono ammetterlo: questo è il risultato della nuova strategia di Donald Trump in Medio Oriente. Non lo dicono, ma il senso è questo è un successo del presidente americano. La “disobamizzazione” della politica estera del suo predecessore è iniziata.

Come ha spiegato il Don a Riad, ora è il momento di riequilibrare i fronti, di scegliere cos’è bianco e cosa è nero, insomma da che parte stare: l’America ha scelto, la “Nato araba”, e gli “Alleati” in Medio Oriente dopo anni di connivenze e sconvenienze (vedi l’accordo obamiano con l’Iran sul nucleare, uno schiaffo ai tradizionali partner di Washington nell’area), ora si danno da fare, mettendo nell’angolo Doha, il Qatar, appunto, risospinto verso il blocco opposto, quello iraniano, verso quella mezzaluna verde che da Teheran arriva all’Hezbollah libanese sotto i buoni uffici della Russia di Putin (e della Unione Sovietica qualche decennio fa). In Quatar però resta comunque una grande base militare Usa e i generali e comandanti di quadrante Usa al momento fanno sapere che mica si smobilita. 

I fronti si resettano e si dispiega meglio anche il sottotesto del discorso di Trump a Riad, quel ‘da adesso dovete imparare a cavarvela da soli’. un messaggio rivolto proprio ai sauditi,.i quali sauditi, finiti gli inchini di Obama ai turbanti locali, capiscono che la musica è cambiata e provano, qualcuno dice esagerando, ad adeguarsi al nuovo spartito, rompendo le relazioni diplomatiche con Doha. Speriamo che i Saud capiscano anche che è l’ora di smetterla di foraggiare indirettamente o meno il terrorismo islamista in Siria e Iraq, e si diano una mossa anche per risolvere la situazione che hanno contribuito solo a complicare nel vicino Yemen. Intanto, e anche questa è una notizia, vecchi attori che sembravano spariti dalla circolazione, come l’Iraq, tornano sul palcoscenico, presentandosi come il Paese mediatore tra le spinte e controspinte, sciite e sunnite, nel grande conflitto che Teheran aveva creduto di poter vincere, e che adesso, invece, si trova a contenere.