Assange cuor di leone è un codardo di fronte a Islam, Cina e Russia

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Assange cuor di leone è un codardo di fronte a Islam, Cina e Russia

13 Dicembre 2010

Julian Assange, il volto pubblico di WikiLeaks, tra le altre cose è un codardo. Essere impavidi avrebbe comportato incontrare i dissidenti iraniani, i giornalisti russi, i pachistani cristiani, gli attivisti dei diritti umani cinesi – per raccogliere e divulgare qualunque informazione segreta legata al tormento istituzionalizzato dei regimi autoritari dei loro Paesi. Questo sì che sarebbe stato rischioso per Assange, considerando che tali governi generalmente non corrono in tribunale per affrontare i delatori e preferiscono di gran lunga rinchiuderli in campi di concentramento o eliminarli.

Al contrario, Assange gira per l’Europa nordoccidentale in mezzo a quelle stesse elite facoltose i cui protocolli economici e di sicurezza fa di tutto per mettere a repentaglio. Subire un interrogatorio improvvisato in Svezia perché è un pappone malandrino che non si è messo il preservativo durante una delle sue effimere serate di rimorchio, non è esattamente la stessa cosa che essere trascinato in una base dell’intelligence pachistana o apparire con una tuta arancione in una delle video-esecuzioni di Al-Qaeda. Perché nella sua ricerca della via maestra per la diffusione della verità cosmica e della giustizia, Assange il vagabondo non percorre qualche stradina secondaria in Medio Oriente, in Messico o Africa Centrale?

In realtà, Assange è uno dei penosi prodotti dell’Occidente postmoderno. Ricorda la moralità di quegli scioccanti artisti occidentali che fanno caricature a costo zero della Cristianità in nome del sacrosanto principio della libertà d’espressione, ma che, nel giro di un nano-secondo, sono pronti ad autocensurarsi ogni volta che l’Islam darebbe loro un ben più largo ventaglio di ragioni per manifestare il loro laico disprezzo. Wikileaks è l’equivalente giornalistico dell’esposizione del “Cristo di Piscio” per il mondo dell’arte contemporanea – ovvero un repellente promemoria sulla codarda selettività di questi maneggioni offensivi e irriverenti (shock-jock huckster).

Julian Assange è senza principi. Dà l’impressione di pensare che divulgare comunicati segreti serva a mostrare che il vasto complesso militar-industriale-finanziario di destra sta danneggiando la popolazione più ricca e libera nella storia della Civiltà Occidentale o dell’intero mondo globalizzato – quello stesso mondo che negli ultimi vent’anni ha fatto più di quanto non sia mai avvenuto in tutta la storia conosciuta per eliminare la povertà e diffondere la libertà.

Ma sappiamo dal Climategate che gli scienziati ecologisti presenti sul Pianeta sono in tutto e per tutto conniventi, gretti e meschini come un qualunque diplomatico americano. Mi piacerebbe conoscere i carteggi riservati che girano tra gli agenti, i produttori e i finanziatori di Hollywood, per capire i reali criteri che hanno portato alle sceneggiature di successi da botteghino come “Redacted” e “Rendition”, in che maniera sono stati selezionati i cast, come sono stati finanziati e girati. Forse per ricalibrare il livello di spontaneità e onestà tra i nostri agitatori di folle potremmo andarci a leggere i verbali delle commissioni di docenza di Harvard o Yale, un po’ di corrispondenza dagli adulatori di George Soros, o le comunicazioni del Segretario Generale delle Nazioni Unite – o, ancora meglio, le trascrizioni delle e-mail decriptate che si sono scambiati i membri dello staff di WikiLeaks.

Apparentemente Assange pensa che la riservatezza sia esclusivamente una prerogativa delle sospette classi dirigenti occidentali, mentre i dissidenti sono per loro natura imbevuti di “Verità”. Ma se un uomo non riesce nemmeno ad essere onesto con una donna in un momento di intimità, quando mai potrà esserlo? – oops, non ci si dovrebbe avventurare in giudizi sulla base del gossip e delle allusioni in stile Assange; sarebbe opportuno aspettare fino a quando il sospettato non avrà ascoltato il suo verdetto in tribunale.

Assange, poi, è anche puerile. Come qualche sbruffone riciclato di sessantottino con la sua filosofia del "esprimi-sempre-tutti-i-tuoi-sentimenti", dà l’idea di credere che la trasparenza al massimo grado sia uguale all’onestà, senza che gli passi minimamente per la testa che la verità è il prodotto finale, il risultato, di una combinazione di auto-riflessione, auto-critica e introspezione. Questi dispacci contengono gossip grezzo, impressioni ancora acerbe, insinuazioni, ingiurie fai-da-te, colpi alla cieca e arguzie, fatte da sedicenti diplomatici apparentemente parchi e giudiziosi. Ancora, penetrando in medias res dentro conversazioni di tal pasta, i dispacci mandano la verità in cortocircuito piuttosto che farla emergere.

Nel mondo degli adulti, sfogarsi con gli altri in situazioni informali non necessariamente si traduce in ipocrisia; perché spesso i comportamenti, le azioni concrete sono indicatori migliori di veridicità, molto più che le allusioni, gli accenni o le riflessioni a tu per tu. Solo un eterno adolescente può davvero credere che si debba essere perfetti nelle parole e che i pensieri debbano solo essere puri. Non c’è dubbio che, da tempo, agli Stati Uniti venga chiesto di lisciare gli sceicchi del Golfo per colpire l’Iran, ma questo non significa che ci sia qualcuno fra noi o tra loro che abbia intenzione di reificare queste vanterie. Per il momento la verità vera si concretizza nelle nostre azioni, e ne consegue che certamente non riteniamo saggia la mossa di bombardare l’Iran.

Julian Assange è un narcisista. Come tutti coloro che sono imbevuti di egocentrismo e negano la propria stupidità, sostiene che avrebbe voluto che Wikileaks rimanesse parte di un anonimo sforzo collettivo – mentre ci ha dimostrato esattamente il contrario, visto che ha sorvolato il globo, rilasciato interviste a dozzine di media diversi, lanciato minacce, pontificato sui leader mondiali che secondo lui dovrebbero dimettersi, e promesso di sganciare imbarazzanti tonnellate di gossip assumendosene lui ogni volta il carico.

Julian Assange rischia di essere nominato “uomo dell’anno” sulla copertina di Time e ha praticamente fatto sì che WikiLeaks diventasse sinonimo di se stesso. Come tutti i narcisisti, quando gli viene ricordato che la sua sconsideratezza potrà causare violenza, caos, morti, liquida le critiche come insignificanti rispetto al Bene che lui riesce ad elargire (da notare come un hacker informatico con la fedina penale sporca abbia costruito su di sé l’immagine del giudice, della giuria, dell’esecutore in nome della verità mondiale). Quando afferma: “sono diventato un parafulmine”, intende dire “Sono la Lady Gaga delle soffiate”.

Il suo unico errore? Assange sfortunatamente ha ricevuto il suo tesoro da Bradley Manning durante l’Amministrazione Obama. Fino a quel momento, la cultura liberal e globale dei media aveva meno problemi con WikiLeaks, visto che le rivelazioni sul governo confermavano semplicemente la perfida natura dei reazionari alla George W. Bush. Ma adesso, ai tempi di un governo progressista, veniamo a sapere che il Segretario di stato americano Hillary Clinton fa la spia, che i diplomatici del Presidente Obama sono annoiati e cinici, e che queste dichiarazioni hanno danneggiato la presidenza di un democratico. È una cosa che fa canonizzare un Daniel Ellsberg (l’autore dei Pentagon Papers, ndt) o traslitterare la canaglia seriale Joe Wilson in una vittima degli oscuri complotti di Dick Cheney, ma anche un modo per deificare un divulgatore di notizie le cui macchinazioni hanno lo scopo di indebolire l’agenda politica di Barack Obama. Per parafrasare George Orwell, Assange sta capendo che tutte le soffiate sono essenziali – ma che alcune sono più essenziali di altre.

Tratto da National Review

Traduzione di Carolina De Stefano