Che cosa si nasconde dietro il raid israeliano in Siria

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Che cosa si nasconde dietro il raid israeliano in Siria

24 Settembre 2007

La facilità con la quale Kim Jong Il ha intavolato trattative sul nucleare con l’oramai famoso “sestetto” di nazioni aveva lasciato tutti abbastanza perplessi. Questi dubbi, tuttavia, erano scemati nel momento in cui si venne a sapere della contropartita che le nazioni filo-occidentali stavano offrendo al governo di Pyongyang in cambio della chiusura dei suoi reattori nucleari: decine di migliaia di tonnellate di petrolio e il riconoscimento diplomatico del regime. Dando una rapida occhiata all’andamento dell’economia nordcoreana negli ultimi anni poi, si scopre che, dopo un’impennata costante a partire dal 1999, nell’ultimo biennio il tasso di crescita del paese si è bruscamente arrestato. Va bene, l’offerta occidentale è allettante, ma è abbastanza per lenire i mali attuali del bilancio nordcoreano? A quanto pare no, visto che Kim Jong Il sta tentando di prendere i classici due piccioni con una fava: da una parte introita il petrolio che gli Usa e i loro alleati offrono in cambio della chiusura della centrale di Yongbyon, e dall’altra intasca i soldi della vendita del materiale nucleare in eccesso alla Siria.

Intanto affiorano due novità riguardo al misterioso raid israeliano che ha portato alla distruzione dei capannoni siriani in cui sarebbe stato stivato del materiale radioattivo di provenienza nordcoreana: una di queste la riporta il Washington Post di venerdì e riguarda la presunta consapevolezza degli agenti del Knesset (servizi segreti israeliani) riguardo alla presenza in terra siriana di esperti sul nucleare provenienti dalla Corea del Nord. Questa conoscenza sarebbe peraltro stata trasmessa ai membri dell’amministrazione Bush durante la scorsa estate e quindi in tempi non sospetti rispetto al raid del 6 settembre. L’altra notizia l’ha data la Korean Central News Agency, agenzia stampa ufficiale della Corea del Nord, quando ha riferito dell’incontro-negoziato in materia nucleare tenutosi a Pyongyang nel corso della stessa giornata di venerdì. In particolare, ad incontrarsi nella capitale della Corea del Nord sarebbero stati Choe Tae Bok, Segretario del comitato centrale del Partito dei Lavoratori nordcoreano (quello al potere) e Saaeed Eleia Dawood, direttore del reparto organizzativo del Partito Arabo Socialista Baathista siriano. I due personaggi avrebbero parlato al riguardo di una nuova collaborazione da instaurarsi tra i due paesi che riguarderebbe appunto la cooperazione amichevole e lo sviluppo di accordi bilaterali anche in merito a questioni importanti come quella nucleare.

In tutto questo affare comunque, l’unica cosa che appare chiara è che sono in pochi a conoscere i dettagli dell’operazione portata avanti dalle forze aeree israeliane soltanto tre giorni dopo l’arrivo nel porto di Tartus (che i russi hanno rinnovato poco tempo fa in modo da utilizzarlo come base strategica nel Medio Oriente) di una nave Nordcoreana che ufficialmente stava trasportando cemento.

Ecco un altro indizio da tenere a mente: fonti interne hanno riferito di una posizione neutrale da parte dell’amministrazione Bush che avrebbe paura di compromettere le delicate trattative sul nucleare, trattative che hanno, peraltro, già rischiato di impantanarsi più volte. D’altra parte la Corea, come detto, sarebbe pronta a rischiare grosso a causa della situazione economica interna. E forse sa già di poter contare su un alleato importante: la Russia di Putin. Sono in molti i quotidiani e gli esperti di politica internazionale che si sono sbilanciati nei giorni scorsi in merito ad una probabile ombra lunga iraniana sulla crisi Siria-Israele, considerando che Bashar al-Assad è uno dei più fidati alleati di Ahmadiinejad. Ma ci sono stretti contatti anche tra Putin e il premier iraniano e guarda caso anche il porto di Tartus c’entra coi russi, visto che la sua ristrutturazione è stata finanziata proprio da Mosca. Ci può essere quindi un coinvolgimento di potenze più grandi (leggi Usa, Russia o Corea del Nord) dietro quella che apparentemente sembra essere una crisi di livello regionale? Danielle Pletka, esperta di Medio Oriente e proliferazione nucleare all’ American Enterprise Institute non la pensa così: secondo lei, infatti, “si tratta di un affare tra la Corea del Nord e la Siria” e quando gli chiediamo se il bersaglio del raid israeliano fosse proprio un deposito di materiale nucleare la risposta è lapidaria: “Si trattava di un deposito di materiale nucleare, almeno questo sembra essere chiaro fino ad oggi.”

Comunque una cosa è certa e cioè che, continua la Pletka, “i russi stanno provando a riottenere il potere che avevano un tempo ma in un modo nuovo e differente. Vedremo fino a che punto il popolo russo e l’Occidente tutto saranno pronti ad accettare la regressione all’autoritarismo dei giorni andati.”

La Pletka quindi non si sbilancia. Si sa, però, della consegna da parte russa di almeno dieci batterie di Pantsyr-S1E, sistema missilistico terra-aria, avvenuta non più tardi dell’agosto scorso. I rapporti tra Russia e Siria non sono certo timidi o sfumati. L’unico ad aver parlato di quest’affare è stato Netanyahu, ex-Primo Ministro israeliano, che per aver pronunciato le seguenti frasi (peraltro abbastanza criptiche) sull’argomento, è stato da varie parti accusato di aver detto troppo: “Quando il Primo Ministro agisce in merito a questioni necessarie ed importanti, e in generale quando il governo si prende cura della sicurezza di Israele, ha tutto il mio supporto. Ho preso parte in questo affare dal primo minuto, devo ammetterlo, e l’ho supportato, ma è ancora troppo presto per discuterne”. Non sembra quindi una crisi da poco, a quanto pare.