Attento Obama che il “RussiaGate” sta diventando un boomerang
19 Giugno 2017
Il Russiagate? L’avevamo scritto: si sta trasformando in una nuova edizione del Clintongate. Il Russiagate in principio era l’accusa mossa da Obama su presunte interferenze degli hacker russi nelle presidenziali Usa, hacker che avrebbero favorito la vittoria di Trump. Gli hacker in realtà erano quelli di WikiLeaks, così l’accusa rivolta a Trump è diventata di aver aperto tramite suoi fiduciari dei canali riservati con Mosca prima del suo insediamento, pratica tutto sommato comune visto che il Don pensava a un “reset” con Putin (un po’ tipo quello di Obama con gli ayatollah iraniani), ma che fino ad ora è costata la testa al consigliere del presidente, Flynn, ha messo sulla graticola il genero di Trump, Jared Kushner, e stretto d’assedio la Casa Bianca. Politicanti di Washington, giornaloni, Big Web, agenzie di intelligence, in una parola la palude che vorrebbe ingoiare Trump, hanno alzato il tiro dicendo che il presidente avrebbe “ostruito” il corso della giustizia, chiedendo all’allora capo della FBI, Comey, nominato da Obama, di lasciar perdere il caso Flynn.
Accusa pesante, preludio di una richiesta di impeachment. L’ex direttore Comey è stato chiamato in audizione al Congresso due volte. La prima con il suo collega della NSA qualche mese fa. La seconda, da solo, dopo essere stato licenziato da Trump, nei giorni scorsi. Durante la prima audizione, Comey ha spiegato che se pure interferenze degli hacker russi ci furono nella presidenziali Usa, non è stata quella la causa della sconfitta di Hillary, bensì la rivolta degli elettori democratici contro l’ideologia global dei loro dirigenti, presidenti e candidati alla stessa carica. Nel corso della seconda audizione, invece, Comey non ha dato nessuna prova regina sul presunto ostruzionismo della giustizia esercitato da Trump, anche perché durante l’incontro tra i due al centro della vicenda il Don non era indagato dalla FBI. E continua a non essere indagato anche adesso, nonostante quello che scrivono i giornaloni compresi quelli nostrani. L’avvocato del presidente continua a smentire categoricamente che ci sia un’indagine su Trump.
Negli ultimi giorni “leaks”, rivelazioni e fake news sono fioccate. Ambienti della intelligence hanno fatto filtrare sul Washington Post che l’inchiesta contro Trump ci sarebbe, tanto che il Don ha gridato di nuovo alla “caccia alle streghe”, usando Twitter per avvertire, direttamente, gli americani che qualcuno sta giocando sporco. Si è letto un po’ ovunque che Trump avrebbe in mente di licenziare il nuovo “special prosecutor” incaricato di seguire il RussiaGate, Mueller. Ma l’inchiesta su Trump non c’è o se c’è nessuno ha le prove per dimostrarlo, se non le fonti anonime del WP. E Mueller resta al suo posto, anche se nel frattempo abbiamo scoperto che, uno, è un amico di Comey, e due, non è estraneo ad ambienti che finanziano il partito dei Clinton (lo ha scritto il ben informato The Hill due giorni fa). In ogni caso, fino adesso tutte le accuse di ogni ordine e grado contro Trump non sono riuscite a spostare di un millimetro il presidente dalla sua poltrona alla Casa Bianca.
In compenso, nella sua seconda deposizione, l’ex direttore della FBI ha detto un’altra cosa, questa sì davvero interessante. Bill Clinton, vista la malaparata in campagna elettorale, avrebbe chiesto all’”attorney general” di Obama, Loretta Lynch, di ‘sbianchettare’ qualsiasi riferimento alle indagini sullo scandalo delle email della moglie, quella improbabile storia del computer distrutto a martellate da Hillary, con i messaggi di posta elettronica compromettenti spediti dall’allora segretario di stato di Obama senza curarsi della sicurezza nazionale. La notizia nei giorni scorsi aveva fatto capolino sui giornali, ora rischia di fare scalpore. Ora veniamo a sapere che ad essere chiamata a testimoniare al Congresso potrebbe essere proprio lei, Loretta Lynch, fiore all’occhiello dell’amministrazione Obama.
I Repubblicani infatti per una volta hanno tirato fuori la testa dalla sabbia e adesso vogliono sapere come andò quella chiacchierata di Loretta con Bill Clinton e se fu Obama, più che Trump, a “ostruire” le indagini sulla candidata democratica sua collega di partito. Insomma, come un boomerang lanciato a tutta velocità, il Russiagate rischia di tornare indietro come un Clintongate qualsiasi, e chissà che a dare spiegazioni a un certo punto non debba essere proprio Barack Hussein. Delle due l’una: o Trump è un genio della politica capace di rovesciare qualsiasi frittata a suo favore, o più probabilmente siamo davanti alla disfatta finale dei Democratici sul RussiaGate, una inchiesta iniziata male, proseguita peggio, e che rischia di ritorcersi proprio contro chi l’aveva voluta e amplificata a tutti i costi.