C’era una volta un pm, un premier e i soliti giornali…
21 Gennaio 2011
di redazione
C’era una volta un Paese del civile Occidente, la settima economia del mondo, con un governo eletto dai cittadini e una maggioranza a suo sostegno. Un po’ pastrocchiata, piuttosto risicata in un ramo del Parlamento, ma pur sempre una maggioranza.
C’era poi nello stesso Paese del civile Occidente un intraprendente pubblico ministero, assai noto alle cronache, un po’ meno ai casellari giudiziari perché raramente le sue mirabolanti inchieste approdavano a qualche condanna. Un bel giorno il pm decise di auto-investirsi di una missione salvifica nei confronti dell’umanità e di esercitare la sua etica superiore indagando nei meandri della politica italiana. E fu così che la sua strada e quella del governo eletto dai cittadini si incrociarono.
La grancassa preventiva fu affidata ai giornali. E così si venne a sapere che attraverso quella oscura e micidiale forma di pedinamento telematico denominata "analisi dei tabulati telefonici" il nome del presidente del Consiglio era finito nel tritacarne di una inchiesta molto ambiziosa che coinvolgeva politica, affari, pseudo-logge segrete. Dalle "celle" telefoniche galeotte al registro degli indagati il passo fu brevissimo, e ben presto la slavina si fece valanga coinvolgendo diversi esponenti della maggioranza.
Né si può dire che il prode pubblico ministero fu lasciato solo: di tanto in tanto qualche togato collega, da altre latitudini e magari senza competenza territoriale, giungeva a rimpinguare il calderone delle pendenze penali della squadra dell’esecutivo.
Fu così che a metà legislatura governo e maggioranza cedettero di schianto. Ad averci avuto una palla di vetro, avremmo visto cosa sarebbe accaduto qualche tempo dopo: tutte le imputazioni finite in archivio e il prode pm, nel frattempo assurto agli allori della politica, sottoposto a richiesta di rinvio a giudizio con l’accusa di aver maneggiato tabulati telefonici di parlamentari in spregio assoluto delle garanzie costituzionali.
Messa così, sembrerebbe una rivisitazione fantasy della stretta attualità. Ma non lo è. Quanta acqua è passata sotto i ponti. Eppure dalla storia del governo Prodi e di Luigi De Magistris questo sventurato Paese sembra non aver imparato proprio nulla.