“Gheddafi ha i giorni contati ma non si arrenderà mai”
01 Marzo 2011
Il professor Angelo Del Boca, scrittore, storico e partigiano, con i suoi libri ha raccontato gli aspetti più feroci del colonialismo italiano e le diverse "imprese libiche" che nella prima metà del Novecento fecero centomila morti fra la popolazione. Meglio di altri, conosce Tripoli e dintorni e ci ha descritto nei dettagli quali sono in queste ore le forze che si scontrano nel Paese africano, e se al Colonnello Gheddafi resta ancora qualche chance di farla franca. Pochissime, forse nessuna. Ne esce un ritratto complessivo del rais – un mito, nel bene e nel male, per il mondo arabo.
Professore, partiamo dalla cronaca. Le sanzioni contro la Libia.
Le sanzioni in questo momento non servono a nulla, dalle frontiere aperte ormai può entrare e uscire di tutto.
L’intervento umanitario sotto egida Onu
Non credo che a intervenire saranno gli americani, perché l’hanno già fatto nell’86. D’altra parte davanti alle coste libiche sono già arrivate le portaerei e le navi da guerra degli Usa, e quando una squadra navale di queste dimensioni si piazza nel Golfo di Tripoli non è facile mandarla via.
Gheddafi lo davano per spacciato, invece è sempre al suo posto
Ieri il Colonnello ha rilasciato delle interviste a vari giornali con una tranquillità che nessuno si aspettava. E’ arrivato in un ristorante e parlando con i giornalisti ha detto una cosa che, indubbiamente, ha un fondo di verità: “Avevo stretto un’alleanza con gli Stati Uniti, con la Gran Bretagna, con l’Italia, per creare un baluardo contro il terrorismo e ora mi ritrovo da solo contro il terrorismo e tutti gli altri mi hanno abbandonato". E certo, aggiungo io: lo hanno abbandonato perché si è messo a sparare sulla popolazione.
Che fine farà? Scappa? Si riprenderà Bengasi?
No, ormai la fine del suo regime è segnata. Negli ultimi giorni è sembrato rimontare un po’, i giornalisti a Tripoli possono testimoniare che di giorno nella capitale tutto è calmo, però questo non vuol dire che non ci sia la possibilità di abbatterlo.
Allora che fine farà?
Il vescovo Martinelli, che è un mio amico, è nato in Libia e ama il popolo libico, ha detto “Se conosco bene Gheddafi, si farà ammazzare”. L’aeroporto di Tripoli è ancora libero, potrebbe prendere uno dei suo jet e fuggire, ma non lo fa.
Perché?
Non vuol perdere la faccia davanti a quel mondo arabo che, nel bene e nel male, lo considera un mito. Non vuol perdere la sua aureola di martire e grande personaggio storico.
Tripoli è davvero assediata?
Nei sobborghi della capitale, a pochi chilometri di distanza, ci sono già degli insorti. E sulla montagna, quelle stesse montagne che sconfissero già italiani nel 1911, a duecento chilometri dalla capitale, le tribù ribelli si stanno organizzando. Una volta appoggiavano Gheddafi, ma negli ultimi giorni gli si sono rivoltate contro, si stanno armando, hanno invaso alcuni campi militari dell’esercito impadronendosi di missili e carri armati.
Ci stanno mettendo tanto a organizzarsi
Non è facile mettere insieme tutte queste tribù, a volte ostili tra loro. Ci sono gli Orfella, i Cogeban, gli Zintan, so che dovevano scendere su Tripoli qualche giorno fa e invece non ce l’hanno fatta. Ma stanno organizzando la calata sulla capitale. Gheddafi conosce bene quelle montagne e ha inviato un suo emissario, un generale che fa parte della tribù dei Rogeban, per negoziare, ma le tribù lo hanno rispedito al mittente.
Com’è combinato l’esercito libico?
Non è certo nelle condizioni di quello egiziano. Il golpe al Cairo lo ha fatto l’esercito – adesso vedremo se ridarà la libertà al Paese oppure no. L’esercito libico invece è molto piccolo, sono 50.000 uomini, ben equipaggiati ma non è che abbiano mai dato prova di grande coraggio o abilità. Quando Gheddafi ha fatto la Guerra al Ciad le ha prese, e i suoi avversari erano “soldati” su camionette Toyota che hanno respinto e cacciato indietro i libici per centinaia di chilometri. Non è un “grande esercito”.
Le milizie personali del Colonnello sono ancora attive. La brigata di suo figlio Khamis.
I miliziani dovrebbero essere all’incirca 30.000 uomini, ma nella situazione attuale queste cifre non hanno significato. A mio parere, in queste ore, intorno a Gheddafi non restano che poco più di cinque, seimila uomini.
C’è il rischio di una penetrazione islamista nelle forze armate?
No, non credo. Anche se lo sta paventando Gheddafi.
I maggiorenti di Al Qaeda sperano in una caduta del rais
Certamente.
Vede un rischio di “somalizzazione” del conflitto?
Mah, è un paragone che non sta molto in piedi. In Somalia la coalizione internazionale e gli americani hanno tentato di portare un po’ di ordine in un Paese che oramai di ordine non ne aveva più. Hanno sbagliato un sacco di cose. Comunque non si può paragonare la Somalia alla Libia, non può ripetersi una cosa del genere.
Come sarà la Libia di domani?
Non credo che verrà costituito facilmente un governo provvisorio. Le mie fonti sulle montagne libiche, tra quelli che stanno organizzando la calata su Tripoli, dicono che non ci sono nomi sull’eventuale governo provvisorio. Non circola ancora nessun nome. Ma la borghesia, che è stata molto osteggiata da Gheddafi, e si è formata in buone università – ce ne sono di eccellenti a Tripoli come a Bengasi – è in grado di fornire medici, avvocati, ingegneri, uomini di lettere, per un nuovo governo.
Al Jazeera ha parlato di fosse comuni
Sono stato il primo a denunciare questa notizia e a dire che si trattava di sciocchezze. Hanno parlato di diecimila morti e cinquantamila feriti. Non basterebbero tutti gli ospedali del Nordafrica e del Medio Oriente per ospitare così tanti feriti. Lo hanno fatto per aumentare il discredito di Gheddafi. Ma il Colonnello non ha bisogno di essere screditato visto quello che ha fatto nei decenni scorsi. E’ già giudicato dalla storia. E’ già giudicato dai suoi quarant’anni di dittatura, non c’era bisogno di buttargli sulle spalle altri morti.
La stampa inglese lo ha dipinto come un mostro circondato dalle sue amazzoni
Tipico, anche i giornali inglesi sono abituati a gettare fango su Gheddafi. Mi sembrano, quella di Al Jazeera e della stampa inglese, due azioni in concomitanza.
E se volessimo salvare qualcosa del personaggio Gheddafi?
Quando fece il colpo di stato nel ’69 tutti noi terzomondisti ci innamorammo subito di lui. Ora è un po’ goffo, ma allora era un bellissimo ragazzo di 27 anni, un giovane capitano pieno di talento e capacità. Salì al potere con gli altri 11 ufficiali senza spargimenti di sangue – è stato un capolavoro di abilità, Re Idris era lontano, ad Atene –, e nel giro di un anno costrinse gli inglesi a chiudere le loro basi militari e a cacciò gli ultimi 20.000 italiani che erano ancora il segno della nostra presenza coloniale. All’inizio, meglio di così non poteva fare.
Cos’ha fatto per la Libia?
Da un coacervo di 130 tribù ha creato uno stato unitario. Gheddafi, in un certo senso, ha “fatto” una nazione. E ha voluto dare a questa nazione un profilo internazionale e una ideologia: il Libro Verde, che non è una cosa da buttar via – è stato un tentativo illuministico, dentro c’erano Rousseau e i francesi del Settecento –, con le sue ricadute negative: una volta intervistai Gheddafi e gli chiesi, Colonnello, avete stampato milioni e milioni di copie del Libro Verde, in tutte le lingue, ma che peso ha avuto per la Libia? E lui, “E’ stato un fallimento. Purtroppo la Libia è ancora un Paese nero, non un Paese verde”. Il Corriere della Sera titolò a sette colonne: “Il Libro Verde è stato un fallimento”.
E’ stato un leader violento
Tra gli anni sessanta e i settanta ha cominciato a volersi liberare degli oppositori, ne ha fatti ammazzare anche in Italia, a Roma, a Milano, un po’ dappertutto.
Professore, ricordo tutti i morti che noi italiani abbiamo provocato in Libia…
Centomila
Su una popolazione di ottocentomila persone se non sbaglio
Erano i dati dei censimenti italiano e inglese. Abbiamo ucciso un libico su otto, morti per difendere il proprio Paese.
Da D’Alema ai 5 miliardi del governo Berlusconi ci abbiamo provato a offrire dei risarcimenti per quella tragedia. E’ chiuso come discorso?
Il Trattato fra Italia e Libia ha ancora dei difetti, per esempio dal punto di vista militare. Che facciamo se gli americani ci chiedono di usare la base di Sigonella?
Alla Sapienza, a Roma, Gheddafi ha usato la nostra cattiva coscienza coloniale per rovesciare addosso agli studenti che lo ascoltavano un discorso profondamente antiamericano e antioccidentale. Forse il discorso sui risarcimenti del colonialismo è chiuso solo da una parte, la nostra.
Gheddafi ha inventato la “Giornata dell’odio e della vendetta”. Nel suo discorso dell’altro giorno dal castello, ha detto “i libici hanno sconfitto già una volta gli italiani, sono in grado di farlo una seconda volta”.
Non le sembra una contraddizione dall’uomo che ha sottoscritto quel trattato?
Be’ ce l’ha con Berlusconi, che fino a poco tempo fa gli baciava la mano e adesso è diventato un suo avversario. Se provo a ragionare dal punto di vista del Colonnello, credo che adesso Gheddafi stia provando una grande amarezza nei confronti dell’Occidente.
Come si è comportato Berlusconi davanti alla crisi libica?
Devo dire che all’inizio, con quella battuta infelice, “lo lascio tranquillo”, non è che il premier abbia dimostrato di essere molto coraggioso. Diciamo che usato un po’ troppa pazienza e un po’ troppa prudenza. Oggi, logicamente, si è allineato alle altre potenze occidentali. Tramite Frattini, ha fatto sapere agli Usa che possono contare su Sigonella, e che se ci saranno delle esigenze di carattere militare noi faremo la nostra parte.
Si è mosso lungo il solco tradizionale della nostra politica estera verso il Medio Oriente
Sì, credo di sì. Abbiamo sempre fatto quello che gli americani ci hanno chiesto. Talvolta lo abbiamo fatto fingendo delle ritrosie ma alla fine abbiamo mandato sempre tutti i soldati che ci chiedevano, come in Afghanistan, dove continuiamo ad avere dei morti.
I libici come vedono noi italiani?
Sono dibattuti. Ci hanno aiutati, a Misurata ci hanno difeso, hanno aiutato i nostri connazionali a imbarcarsi, altrove hanno picchiato alcuni giornalisti dopo che questi avevano detto di essere italiani. C’è un vecchio rancore che non si può eliminare completamente. Ho visitato un museo, in Libia. Ci sono le foto e le testimonianze di come vennero ammazzati dagli italiani, fucilati, impiccati, gettati dagli aeroplani. Quando un Paese subisce quello che ha subito la Libia dal 1911 al 1942 – il lungo periodo delle occupazioni italiane – non si può provare altro che risentimento.