Afghanistan, sul blitz ha pesato l’effetto Mastrogiacomo
26 Settembre 2007
Arturo Parisi merita un doppio plauso. Perché ha avuto coraggio, e mentre tutt’intorno a lui dichiarazioni maldestre e infelici sortite rischiavano di mettere a repentaglio la vita dei due agenti del Sismi e del terzo ostaggio afghano, ha tenuto la barra dritta. E ancor di più perché dietro la scelta difficile e rischiosa che il governo ha dovuto compiere dando il via libera al blitz per liberarli si intravede anche l’ombra di un ingombrante precedente: la discussa trattativa per il rilascio di Daniele Mastrogiacomo, sulla cui conduzione il ministro della Difesa ebbe a manifestare più volte un profondo dissenso.
Dopo le pressioni esercitate su Hamid Karzai per ottemperare alle condizioni poste dai terroristi che tenevano in ostaggio l’inviato di “Repubblica”, e soprattutto dopo il controverso epilogo della mediazione affidata a Gino Strada e agli uomini di Emergency, era chiaro che per un secondo “caso Mastrogiacomo” non ci sarebbero mai state le condizioni. Anche perché la ridda di dichiarazioni seguite al sequestro dei nostri due 007 aveva sortito il nefasto effetto di rafforzare nei rapitori la convinzione che si trattasse di “spie”, dunque merce pregiata, da condannare a morte senza appello.
Di qui la decisione di dare il via libera al blitz condotto dalle forze Isaf, complicato dall’inattesa fuga in auto ingaggiata dai sequestratori con gli ostaggi chiusi nel bagagliaio, con la conseguenza di un conflitto a fuoco nel quale i due italiani – che in queste ore stanno rientrando in patria – sono rimasti feriti. Uno in misura più lieve, un altro al punto da essere costretto ad una disperata lotta contro la morte, al cui gelido abbraccio lo sottrae solo un respiratore.
I rischi potenziali connessi ad un’operazione di questo tipo si sono materializzati in tutta loro drammaticità. Ma probabilmente hanno ragione i rappresentanti del governo quando dicono che quella del blitz era l’unica strada da intraprendere. E che la prima occasione utile, probabilmente anche l’ultima, non avrebbe potuto né dovuto essere sprecata.
Derubricando a folklore le sortite antibelliciste dei comunisti italiani, su questa dolorosa vicenda non si sono registrate polemiche politiche, come era auspicabile che accadesse. L’unico corto circuito di rilievo, ancora una volta, è stato quello fra la Farnesina e Palazzo Baracchini. Cioè fra Massimo D’Alema e Arturo Parisi. Il quale pare che avrebbe preferito che il sequestro dei due agenti segreti restasse riservato finché la situazione non fosse stata risolta. Senza contare che mentre il ministero della Difesa si affannava a classificare genericamente i due ostaggi come “personale militare”, il vicepremier e ministro degli Esteri, definendoli apertamente “funzionari”, ha rischiato di avallare i “sospetti” degli afghani sulla loro identità.
Ora, come è giusto che sia, al di sopra di ogni considerazione c’è l’apprensione unanime per la vita dell