Climategate: non è sempre l’uomo la rovina del mondo

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Climategate: non è sempre l’uomo la rovina del mondo

29 Gennaio 2011

Un mese prima del vertice mondiale sui cambiamenti climatici a Copenaghen, il 17 novembre del 2009, un hacker riuscì ad inserirsi nel sistema informatico del Centro di ricerca sul clima (CRU) dell’Università inglese dell’East Anglia, a Norwich, e rubò 62 mega byte di e-mail e allegati scambiati in quattordici anni, poi caricati su un server russo prima di essere copiati su vari siti internet. I cables contenevano 1.073 mail, 3.587 documenti, dati grezzi e codici sorgente dei ricercatori della CRU e dei loro corrispondenti, alcuni dei quali erano fra gli autori dei rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico. I contenuti riguardavano principalmente discussioni sui dati o la preparazione di articoli e interventi a conferenze. I climate-leaks rendevano pubblico un fitto scambio di informazioni e pareri tra gli studiosi del global warming e su come filtrare le informazioni per selezionare cosa far sapere al pubblico: i climatologi si consigliavano a vicenda di non pubblicare dati e numeri che avrebbero indebolito le loro teorie. Insomma, era stato colpito il cuore dell’integrità e della credibilità scientifica.

Il CRU, inoltre, da tempo collaborava con l’Intergovernmental Panel on Climate Change nella stesura dei rapporti dell’Onu sui cambiamenti climatici in cui – spesso – si sostiene che le emissioni di CO2 prodotte dall’uomo starebbero surriscaldando pericolosamente il nostro pianeta. Scoppiava, così, il climategate e si iniziava a sospettare che l’unico fattore antropogenico capace di influenzare il clima sembrava essere solo la ghibellina mano degli scienziati. Così, si apre un’inchiesta mentre iniziano a surriscaldarsi gli animi del WWF, di Green Peace, dei black (and green) block, della comunità scientifica che grida allo scandalo e Phil Jones, l’ex direttore della Climatic Research Unit dell’università East Anglia, a causa delle e-mail si dimetterà.

Dopo un anno però sembra tornare il sereno visto che le principali indagini hanno scagionato gli scienziati. Ora, un nuovo rapporto legge tra le righe dei relativi risultati e trova le conferme di alcuni sospetti sulla non imparzialità delle indagini stesse. Il rapporto condotto da Andrew Montford, blogger e autore di un instant-book sul climategate intitolato The Hockey Stick Illusion, è ora disponibile in italiano grazie all’Istituto Bruno Leoni.

Nel rapporto di Montford troviamo quattro filoni principali: i problemi riconosciuti da tutti; i tricks dell’eco-establishment britannico; le domande e accuse tuttora inevase; e lo sbriciolamento della scienza del cambiamento climatico. Il rapporto, preceduto da una prefazione di Maurizio Morabito ci spiega molto bene cosa va a scandagliare il nuovo dossier sul climategate: La scienza del riscaldamento globale è in agonia, così ridotta da quei ‘pasdaran del clima’ che ne hanno fatto un feticcio ideologico, spingendosi a tramare dietro le quinte per difenderne a tutti i costi i dogmi. Proprio alcuni dei personaggi più importanti hanno commesso il peccato più grande: si sono fatti scoprire”.

La spy story sul global warming si arricchisce pertanto di una nuova trama con nuovi personaggi intenti a rispondere a una delle domande più assidue tra la specie umana: che tempo farà?

Intanto una risposta ce la dà Jessica Tuchman Mathews, think tanker del Carnegie Endowment for International Peace. Alla domanda “nel 2011 sarà inutile combattere contro il cambiamento climatico?”, risponde con un secco “sì, perché non c’è volontà politica di dare una risposta al problema: le elezioni sono troppo lontane”.