Giustizia, Alfano spunta l’arma agli anti-Cav. e chiama al confronto sul merito

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Giustizia, Alfano spunta l’arma agli anti-Cav. e chiama al confronto sul merito

10 Marzo 2011

Riformare la giustizia non è reato. Non è nemmeno più un tabù. E’ ciò che il paese attende almeno da trentanni e che dopo trentanni sta nel progetto di riforma costituzionale approvato ieri dal Consiglio dei ministri. Legge di stabilità, scuola e università, federalismo, giustizia: un’altra riforma di sistema che segna la road map del governo Berlusconi. Sul piano ‘tecnico’ una proposta incentrata su un principio di fondo a tutela dei cittadini: la parità tra accusa e difesa di fronte a un giudice terzo. Sul piano politico, un’iniziativa che ridà slancio all’azione dell’esecutivo nella fase due della legislatura, traduce in fatti il programma elettorale sul quale gli elettori hanno dato fiducia e voti al centrodestra, allontana una volta per tutte il tormentone delle leggi ad personam.

Perché in questa riforma, nonostante il refrain della sinistra, non c’è nulla che riguardi le inchieste giudiziarie che coinvolgono Berlusconi, sia per il suo impianto costituzionale, sia per il fatto che le norme non varranno per i procedimenti in corso, sia per l’iter temporale che ne prevede il varo definitivo (se tutto va bene e anche in caso di referendum confermativo) entro il 2013. In mezzo c’è tutto il lavoro di approfondimento e miglioramento in Parlamento, il confronto con le opposizioni auspicato dal premier , offerto dalla maggioranza e rilanciato dal Guardasigilli Alfano nel convegno organizzato in Senato dalla Fondazione Magna Carta.

Tempistica non casuale: nel giorno dell’approvazione a Palazzo Chigi, l’iniziativa della Fondazione vuole essere un contributo di idee e proposte sul piano scientifico-giuridico con le relazioni di giuristi e costituzionalisti che hanno focalizzato l’attenzione sui punti cardine del progetto di riforma: separazione delle carriere tra giudici e pm, equilibrio costituzionale, diritto di difesa, responsabilità dei magistrati, sistema penale tra obbligatorietà e garanzie.  Giuseppe De Vergottini, Giovanni Pitruzzella, Giorgio Spangher, Tommaso Frosini, Ida Nicotra, Giovanni Guzzetta, Valerio Spigarelli, Ennio Amodio hanno evidenziato con forza un punto: la riforma non è più rinviabile, serve sul piano dell’efficacia e dell’efficienza del sistema giustizia nel suo complesso, serve a dare risposte concrete in tempi ragionevoli ai cittadini tutelando tutte le prerogative del giusto processo.

Pareri autorevoli sul piano tecnico che rilevano pure come nel campo dei giuristi e costituzionalisti ci sono coloro che non si fermano a pareri demagogici o bocciature a prescindere (come nel caso del professor Michele Ainis critico sul testo e il contesto attuale in cui si avvia la riforma) ma che approcciano un impianto di revisione costituzionale col metro del buon senso calibrato su ciò che serve al paese, non al premier. E che di riformare un settore strategico per la vita civile di un paese e il suo sistema economico ci sia un gran bisogno, oggi più che mai, lo testimonia il fatto che già quattordici anni fa nella Bicamerale D’Alema si lavorò alla revisione dell’impianto costituzionale.

Niente alibi, dunque per la sinistra che col Pd e l’Idv sale sugli scudi e parla di “controriforma”, ancor prima di esaminare i diciotto articoli del testo (da articolare in undici leggi per via ordinaria), mentre l’Anm parla di proposta “punitiva” e non esclude “alcuna forma di protesta”. Un banco di prova, per i moderati del terzo polo. Tanto più che come ribadisce più volte il Guardasigilli nel suo intervento al convegno di Magna Carta (“Riformare la giustizia non è reato”, titolo di per sé eloquente)  questa riforma “non è il quinto Vangelo” e non è “un testo immutabile” e il Parlamento è lì per questo, per “migliorare i testi del governo”.

Di qui l’auspicio e la disponibilità a un “confronto nel merito” perché la riforma è “così equilibrata e improntata a canoni di buon senso”. Di tempo per discutere, analizzare, proporre, migliorare ce n’è se come rileva Alfano “il limite delle riforme costituzionali è che il loro travaglio è lungo, il che consente una riflessione pacata per mettere a fuoco il testo. E ci sarà anche il tempo perché l’opinione pubblica colga tutti gli aspetti”. Auspicio e apertura al confronto nel merito, che Gaetano Quagliariello vicepresidente dei senatori Pdl (presidente onorario della Fondazione Magna Carta) richiama e rivendica come atteggiamento costruttivo della maggioranza quando lancia una sfida in positivo a quanti nell’opposizione “non non intendono svendere la ragionevolezza alle esigenze della propaganda. Nel lungo dibattito che ci attende dentro e fuori il Parlamento sulla riforma della giustizia confrontiamoci anche duramente sui contenuti, scontriamoci se è necessario, ma mettiamo al bando la menzogna e la disinformazione”.

Per questo lancia una “moratoria delle bugie” e invita  la sinistra ad avere “il coraggio di scendere dalla barricata dell’antiberlusconismo” e a deporre l’arma spuntata “della presunta riforma ad personam, se non altro perché i tempi di approvazione di una riforma della Costituzione renderebbero tale argomentazione priva di qualsiasi fondamento anche remoto. Non ci si rifugi dietro l’alibi del clima incandescente di queste settimane; non ci si illuda che calare oggi la carta della pregiudiziale antiberlusconiana e sperare che nel frattempo qualche Procura tolga di mezzo ‘l’incomodo’ consentirebbe domani di fare le riforme. Chiediamo all’opposizione, alle sue forze ragionevoli, un atto di coraggio. Si liberino delle ipoteche giustizialiste, della zavorra della conservazione, e accettino il confronto senza pregiudizi e veti preventivi”.

La consapevolezza è che “si parte per raggiungere una meta difficile: riformare la giustizia e fare del nostro paese una democrazia normale”, rileva Quagliariello che mette fin d’ora in conto che “contro di noi si coalizzeranno i conservatori che aborrono il liberalismo (anche quando si dicono liberali) e gli orfani della rivoluzione che credono che le sentenze servano a cambiare il mondo e non a fare giustizia”. Ma se il cammino sarà difficile e la meta incerta, il vicepresidente dei senatori Pdl è fiducioso perché “l’inizio fa ben sperare. Qualche studioso di rango si è già esposto. Non è poco, non è scontato”.

Alfano torna sull’importanza del confronto considerando “cinico" il ragionamento di chi dice che si potrebbe dialogare nel merito della riforma se non ci fosse in mezzo il ‘proponente’. Più o meno il convincimento di D’Alema secondo il quale se Berlusconi non si dimette non si può dialogare. Spiega Alfano: “In politica esiste la categoria del bene o solo dell’utile? Tu dialoghi perché pensi di possa migliorare la giustizia o solo perché ti serve a far cadere il presidente del Consiglio?Il bene non è il nostro disegno di legge ma la volontà di confrontarsi sul merito e dunque speriamo che esista una logica del bene che prescinde dall’utile”.

Altra questione che il Guardasigilli vuole sfatare è che questa riforma subordini i magistrati all’esecutivo ricordando che “la storia di questi venti anni ha dimostrato che non c’è nessuna forma di soggiacenza” e non c’è oggi alcun tentativo di condizionarne l’autonomia e l’indipendenza perché “non intendiamo né intenderemo mettere i pm sotto l’esecutivo. Per ragioni di virtù e per ragioni di calcolo”. Il ragionamento è semplice, dice Alfano: “L’idea che in un futuro governo qualche esponente dell’opposizione  abbia sotto di sé la magistratura ci atterrisce. Stiano dunque tranquilli i magistrati. Se avessimo voluto mettere i pm sotto l’esecutivo avremmo avuto gloriosi esempi di democrazie occidentali cui ispirarci. Non lo abbiamo detto, non lo abbiamo fatto”.

Infine, sulla tempistica di questa riforma che nelle file dell’opposizione leggono in maniera sospetta e secondo i canoni ormai codificati dell’antiberlusconismo, il Guardasigilli ricorda come la giustizia sia uno dei cinque punti portati da Berlusconi in parlamento a settembre e sui quali il governo ha ottenuto la fiducia; è un impegno assunto con gli elettori e un punto centrale del programma del Pdl che al pari della scuola e del federalismo, così come della riforma fiscale (nuovo obiettivo fissato dal premier proprio ieri)  sta nell’agenda del governo.

Se non ora quando?, si interroga il ministro mutuando non a caso la frase di Primo Levi trasformata nello slogan delle donne indignate a prescindere che sono scese in piazza dopo il Rubygate. “Se non ora che c’è una coalizione che ha la riforma della giustizia in cima alle priorità? Se non ora che un testo è arrivato per la prima volta in Parlamento, se non ora quando?  

Domanda per quanti da Fini a Casini a Bersani in questi giorni hanno ripetuto che è ora di mettere da parte l’antiberlusconismo. L’occasione adesso c’è e se si abbandona l’ideologia è sul merito che maggioranza e opposizione si dovranno misurare. E stavolta senza alibi per nessuno.