Le “sfide culturali e politiche” del Sud passano dall’essere italiani
13 Marzo 2011
Si è svolto ieri sera a Lecce all’hotel Hilton Garden Hill il penultimo incontro del ciclo “sfide culturali e politiche”, organizzato ormai per il terzo anno consecutivo su iniziativa del Sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano e che ha avuto come tema quello del 150° anniversario dell’Unità d’Italia che si celebrerà tra pochi giorni. L’incontro ha visto la presenza del vice capogruppo del Pdl al Senato e Presidente Onorario della Fondazione Magna Carta Gaetano Quagliariello, del direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, Carlo Bollino, e dell’economista e Senatore Nicola Rossi.
La discussione si è inaugurata chiedendo agli ospiti di esprimersi circa l’imputabilità all’ Unificazione d’Italia del divario creatosi tra Nord e Sud. Quagliariello, in linea con quanto successivamente affermato da Rossi, ha scardinato questa tesi analizzando invece l’evento unificazione come occasione per il Sud di sollevarsi dalla logora e poco civile qualità della vita e della salute in cui versava nel periodo immediatamente preunitario. Per Quagliariello la Questione Meridionale deve essere affrontata criticamente senza moralismi ed è fondamentale analizzare le fasi della storia a noi più vicine constatando come a partire dal secondo dopoguerra mentre al Nord e al centro si sono radicati orientamenti politici egemoni capaci di portare avanti progetti di sviluppo a lungo termine garantiti dalla stabilità elettorale, questo a Sud non è successo essendo questo un territorio fortemente pendolare.
L’attuale dominanza dei governi di centro-destra nelle regioni meridionali rappresenta per il Senatore l’occasione per intavolare una strategia di sviluppo diversa e duratura. Rossi e Quagliariello hanno espresso parere unanime circa la radice della Questione Meridionale: il divario esistente nel 1861 si è mantenuto fino a noi anche peggiorando le proprie connotazioni in alcuni momenti topici. Varie sono le motivazioni di questo perdurante stato di arretratezza: cominciando in ordine cronologico con le leggi speciali Zanardelli del 1902, le quali già all’epoca non mancarono di evidenziare lo squilibrio sprecone tra la quantità di fondi erogati in favore della “causa mezzogiorno” e la mole di opere pubbliche realizzate; continuando con il progetto della Cassa del Mezzogiorno, creata nel secondo dopoguerra per incentivare l’iniziativa economica e industriale tramite finanziamenti pubblici, divenuto un pozzo senza fondo che ha risucchiato capitali finiti per la maggior parte in opere pubbliche spesso rimaste incompiute; la competenza della classe dirigente, selezionata sin dai tempi dell’unificazione sulla base di politiche clientelari e assistenzialistiche e sull’analisi della mera capacità di utilizzazione degli strumenti legislativi e procedurali esistenti, senza la proposizione di nuove idee fondate su analisi concrete, territoriali e competenti.
Quagliariello ha inoltre condannato la trattazione della Questione Meridionale come la sommatoria di tante particolarizzazioni regionali (come con la individuazione delle 22 no tax area che fortunatamente non ha avuto seguito e la cui strategia di esenzione fiscale si è applicata solo a eventi eccezionali come le calamità naturali ) e non come problematica unitaria che necessita di un unico modello di sviluppo, di un’unica direttrice che sia comprensibile senza fraintendimenti; a ciò si aggiunga la forte responsabilità dell’incertezza in cui versa la legislazione civile e amministrativa aggravata dalla riforma del 2001 al III comma dell’art 117 cost. nella misura in cui, non sottolineando quali siano specificamente le materie a legislazione concorrente e quale la misura in cui questa potestà legislativa debba essere esercitata dagli enti locali nell’ambito delle disposizioni generali dello Stato, abbia di fatto allontanato gli investimenti. Il problema degli investimenti che, secondo Quagliariello, si muovono nella direzione che possa garantir loro di fruttare: ecco che a Sud il fenomeno della criminalità organizzata diventa deterrente all’iniziativa economica ed ecco che obiettivo primo della classe politica deve essere quello di creare il contesto che attiri l’investimento.
La flessione dirigista secondo il senatore Rossi del III comma dell’art 41 cost. che nella proposta di modifica presentata dal governo nel piano incentivi alle imprese verrebbe sostituito dall’espressione “è consentito tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge" . Anche il problema degli incentivi è stato affrontato e gli ospiti del convegno ne hanno proposto il superamento per almeno due ordini di motivi: il primo di carattere economico secondo il quale la fruizione stessa dell’incentivo produce un costo di transazione per l’impresa e quindi ne diminuisce il vantaggio; il secondo di carattere etico in quanto l’incentivo aumenta la corruzione creando una fitta rete di rapporti tra i funzionari degli enti locali e i singoli imprenditori che spendono tempo in relazioni clientelari piuttosto che nell’esercizio puro della loro attività economica. Queste le problematiche sollevate durante il dibattito su sollecitazione del direttore Bollino mediatore delle parti per tutto l’incontro.
Tra le soluzioni proposte, posizione dominante ha rivestito il progetto del Piano per il Sud nella misura in cui risponde all’esigenza di evitare particolarizzazioni di trattamento affrontando il problema nella sua unità e destinando con chiarezza i fondi a pochi e rintracciabili progetti. Cercare inoltre di modellare un piano di sviluppo sulle peculiarità dell’economia meridionale che si discosta dal modello industriale tradizionale e fordista quindi dello stabilimento di grandi dimensioni e con tutte le altre caratteristiche a noi note, e che abbraccia invece un modello basato sulla piccola e media impresa: continuare a favorire quindi l’adattamento all’interno C.C.N.L.,sempre nell’incontro tra sindacati e imprese , delle condizioni salariali alla realtà aziendale di riferimento. Revisionare il principio di sussidiarietà e le funzioni attribuite agli enti locali anche nell’ottica della fruizione dei fondi europei che spesso finiscono in quella burocrazia ideologica e post bellica che già tanti fallimenti ha prodotto al nostro paese.
Promuovere un miglioramento delle infrastrutture favorendo una rete più fitta di collegamenti con il Sud. Qui però Quagliariello ammonisce che l’impresa di collegamento investe la dove la logica di mercato può darle ragione e quindi, tornando all’inizio, dove l’investimento possa fruttare riuscendo a muovere una mole di persone tali da rendere potenzialmente degno di miglioria l’intero apparato. Nella questione delle infrastrutture l’onorevole Mantovano ha denunciato anche l’inettitudine con la quale alcuni sindaci si oppongono alla realizzazione e alla modificazione di tratte ad esempio ferroviarie che possano muovere in meno tempo una mole maggiore di persone. Lo stesso ha inoltre sottolineato come negli ultimi quindici anni la Puglia abbia guadagnato a livello aeroportuale tratte fino a pochi anni fa impensabili.
Non poteva mancare nell’analisi delle risorse del Sud il fattore umano: il direttore Bollino ha chiesto a Quagliariello se fosse in grado di rintracciare la causa della ben nota fuga di cervelli. Secondo il Senatore il problema italiano è che le cittadelle universitarie soprattutto e purtroppo quelle più rinomate sono diventate delle roccaforti, delle corporazioni nelle quali si sono innestati meccanismi circolari e viziosi in cui si passa da essere studenti a professori secondo un criterio tutto interno e per niente meritocratico frutto di un miscuglio tra pseudo anzianità e nepotismo. Questo corporativismo ammazza la ricerca che in Italia è oggi ai minimi termini e spinge ad andar via e allontana noi giovani dal messaggio che fare al meglio porta al meglio.
Fuga di cervelli, si dice, il problema non è andar via quanto piuttosto non tornare per mancanza di contesti economici e aziendali che ci riaccolgano. L’Italia è isolata anche perché qui non arrivano né capitali nè fattore umano stranieri e questo ci impoverisce ulteriormente perché non apre al confronto e a nuove prospettive di conoscenza.
Il messaggio di questo lungo dibattito è che il problema meridionale non è antropologico, non c’è differenza cioè fra gente del nord e del sud. Il problema è strutturale e oggettivo e si manifesta soggettivamente nella misura in cui non esistono classi dirigenti in grado di proporre alternative al nostro modello attuale di essere Italia. Un dibattito diverso da quello che ci si attendeva, una sfida lanciata ad ognuno di noi, ai politici, ai giovani, agli imprenditori presenti ieri. Una spinta a riflette su un modo nuovo per continuare e migliorare il nostro essere Italiani.