Fini non fa le riforme perché il Cav. è cattivo e ‘il governo ha fallito’

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Fini non fa le riforme perché il Cav. è cattivo e ‘il governo ha fallito’

06 Febbraio 2011

Nel giorno in cui il centrodestra ricorda la lezione di Pinuccio Tatarella, Berlusconi dice che va avanti con le riforme, Fini che non le vuole perché col premier è impossibile dialogare, rivendica come ‘merito’ lo stop futurista alla riforma della giustizia e sentenzia “il fallimento del governo”. Se non fosse drammaticamente vero, sembrerebbe di stare su “Scherzi a parte”.

Non si era mai sentito un presidente della Camera, cultore della sacralità delle istituzioni come si accredita Fini un giorno sì e l’altro pure, arrivare a esternare in pubblico (l’occasione è la commemorazione di Tatarella a Roma) un giudizio così pesante che cozza col profilo di terzietà che la sua carica impone. Mai Bertinotti o Casini si sono sognati di dire altrettanto. Fini no, va fino in fondo nella guerra al Cav. E lo fa mischiando piani e ruoli: terza carica dello Stato e capo di partito. Tutto serve se l’obiettivo è buttare giù il Cav., anche flirtare con la sinistra, costruire una ‘santa alleanzina’ con Casini, Lombardo e Rutelli, andare in tv come fa Bocchino a dire che il federalismo è una ‘patrimoniale’. Il mondo alla rovescia, insomma.

E pensare che fino a quattro mesi fa i finiani erano al governo dopo essere stati eletti nel Pdl; Fini è seduto sullo scranno più alto di Montecitorio grazie anche e soprattutto ai voti del Pdl, partito che ha contribuito a fondare, poi ha rinnegato e che oggi guarda come il nemico (non l’avversario) numero uno. Ma in tutto questo, dove stanno gli interessi del Paese? Quelli per i quali i terzopolisti vagheggiano il ribaltone nel nome di governi di salvezza nazionale?

Adesso lo spartito futurista suona più o meno così: no alle riforme perché siccome Berlusconi ha creato un clima avvelenato non è possibile farle. Al Tempio di Adriano Fini (seduto accanto a Violante) mette a confronto il premier col profilo del “ministro dell’Armonia” (Pinuccio Tatarella) che nella sua azione politica “ricercava un comun denominatore” perché capiva che “trovare un punto di accordo rappresentava il superamento di una divisione”. Ma il Cav. no, per il capo di Fli lui ha “una concezione della politica muscolare e antagonista. La Bicamerale avrebbe reso possibile il superamento della fase in cui l’altro è necessariamente antagonista”. Cita Tatarella per dire che ciò che conta è “acquisire una cultura politica comune, altrimenti la democrazia dell’alternanza mors tua vita mea”.

E ancora: quello che unisce è più importante di quello che “divide, solo un analfabeta della politica non lo capisce e pensa a chissà quale inciucio”. L’affondo finiano serve a giustificare i tatticismi di Palazzo: “Berlusconi non ha capito che siamo in una fase post ideologica. Lui si muove con gli schemi mentali tipici dei riscontri ideologici. E così è impossibile avere visioni unificanti”. Francamente un po’ poco per dare un senso al muro contro muro quotidiano, dettato da ragioni più personalistiche che politiche; perché è difficile comprendere come chi è presidente della Camera e fino all’altro ieri è stato al governo abbia il binocolo e il mirino puntato solo su Palazzo Grazioli e, invece, non guardi alle riforme di cui il paese ha bisogno in virtù delle quali il confronto costruttivo dovrebbe essere la regola della politica, anche quando si passa sull’altra sponda, quella dell’opposizione.

Pure il richiamo sulla bicamerale appare debole dal momento che, alla fine, i futuristi hanno votato col Pd. Baldassarri prima ha chiesto e ottenuto dalla maggioranza l’accoglimento di un emendamento, poi ha fatto intendere che si sarebbe astenuto, infine ha votato contro. Anche qui: dove stanno gli interessi del Paese?

Altro esempio. Fini rivendica come ‘merito’ lo stop alla riforma della giustizia. “Quando Berlusconi dice che per colpa mia non ha fatto la riforma della giustizia mi attribuisce un merito, perché quella era una riforma che nulla ha a che fare con la giustizia al servizio del cittadino. Quando Berlusconi parla di processo breve dimentica di dire che la riforma che lui voleva e che noi impedimmo cancellava processi già in essere e determinava per le parti lese di non vedersi riconosciuto il sacrosanto diritto alla giustizia e la condanna del reo. Quando Berlusconi parla di processo breve non pensa a mettere in discussione i tempi massimi per arrivare a una sentenza definitiva, ma ha la volontà di cancellare un suo contenzioso per il suo coinvolgimento personale, negando il principio costituzionale che la legge è uguale per tutti”.

Così il capo di Fli, così il suo capogruppo alla Camera che nei talk tv va a dire che il federalismo altro non è che una patrimoniale. Come accaduto l’altra sera da Paragone, a “L’ultima parola”. Linguaggio e propaganda sono praticamente quelli di Bersani: Bocchino spiega che prima erano favorevoli al federalismo perché nel programma elettorale non c’era scritto che avrebbe comportato l’aumento delle imposte locali, ma poi quando Calderoli ha presentato il testo i prodi finiani hanno cambiato idea, proprio perché c’erano dentro le tasse. Creatività bocchiniana.   

Lo scontro frontale Berlusconi-Fini produce scintille e alza la tensione. Il premier accusa il capo di Fli di aver ”inculcato il germe della divisione” nel Pdl e di non aver rispettato il mandato degli elettori alleandosi con le opposizioni. Nel videomessaggio ai Promotori della Libertà torna sul Rubygate per denunciare “l’illegittima intromissione” di alcuni magistrati nella sua vita privata e quella di certi media, ma il tema centrale è e resta quello delle riforme. Il federalismo è un passaggio “essenziale” per modernizzare il paese e al tempo stesso mantenere intatta la “solidarietà nazionale” assicura, la riforma sarà approvata in Parlamento e “nel pieno rispetto delle procedure previste dalla stessa legge di riforma”.

Ieri ad Arcore, gli scontri tra manifestanti anti-Cav. e forze dell’ordine. Mercoledì, il consiglio dei ministri dedicato all’economia. Risposta ai ribaltonisti di palazzo e a quelli di piazza.