Sarkò vuol fare Bush ma fino a ieri brigava con Gheddafi e Ben Alì
22 Marzo 2011
La guerra contro la Libia di Gheddafi è diventata sempre di più la guerra di Sarkozy. Ma la folie de grandeur di Nicolas non basterà a far dimenticare un anno di politica estera francese alquanto fallimentare. In meno di dodici mesi il ministero degli esteri francese è stato diretto da tre differenti ministri mentre al primo turno delle elezioni cantonali francesi il suo partito, l’Ump, ha conquistato un misero 17%.
Sarkozy è il primo ad incontrare e a riconoscere ufficialmente i rappresentanti del Consiglio nazionale di transizione libico, Sarkozy dribbla la Nato, Sarkozy convoca il primo “blitzkrieg diplomatico” (in cui Russia, Stati Uniti, Cina, Niger e Sudafrica sollevano ciascuno le proprie obiezioni), Sarkozy comanda di attaccare, Sarkozy dà l’ordine di sparare i primi missili contro la Libia. Ma la folie de grandeur di Nicolas non basterà a far dimenticare un anno di politica estera francese alquanto fallimentare.
In meno di dodici mesi, infatti, il Quai d’Orsay è stato diretto da tre differenti ministri. All’inizio del 2010 il capo della diplomazia dell’Exagone era ancora il socialista Bernard Kouchner, uno dei fondatori dell’organizzazione Medici senza frontiere e di Médecins du Monde e simbolo della cosiddetta politica dell’ ouverture a sinistra. Oltralpe la dipartita di Kouchner è stata giustificata con la necessità di un rimpasto ma il vero motivo, stando alle dichiarazioni del french doctor alla stampa francese, va ricercato nella polemica nata intorno alle espulsioni dei rom.
“Mi sono reso conto che l’umanitario è finito, che i nuovi rapporti di forza internazionali non lo permettono più” dichiarava Kouchner, alla fine, sostituito da Michèle Alliot-Marie, soprannominata Mame, già ministro di Stato, ministro degli affari esteri ed europei e classificata dalla rivista Forbes come la cinquantasettesima donna più potente del mondo. Neanche questa, però, è stata una scelta felice: dopo pochi mesi anche Alliot-Marie è costretta a dimettersi a causa delle polemiche legate al suo viaggio di fine anno in Tunisia – ai tempi della rivolta – come ospite di Ben Alì con cui, come riportava il giornale satirico Le Canard enchainé, i genitori del ministro facevano affari, come il suo compagno e ministro per le Relazioni con il parlamento, Patrick Ollier, col regime libico. Alle accuse rivoltegli l’ex ministro della diplomazia francese rispondeva di essere “stata molestata da certi media” e di non poter “accettare che alcune persone usino questo complotto per provare a far credere alla gente che la politica internazionale francese sia stata indebolita”.
Ma, de facto, cambiare due ministri degli Esteri in meno di dodici mesi non è di certo un primato da guinness e se poi pensiamo al fallimento del progetto de L’Union pour la Méditerranée, organismo internazionale fortemente voluto da Sarkozy e creato per avvicinare i rapporti fra le nazioni che si affacciano sul mar Mediterraneo (l’attuale presidente sarebbe stato Hosni Mubarak) le parole della Alliot-Marie si commentano da sole. Vale la pena, però, leggere anche il commento rilasciato dal Gruppo Marly, un gruppo di trenta diplomatici francesi (venti dei quali in carica) esasperati dalla politica estera di Nicolas l’Africano che a Le Monde hanno dichiarato: "Contrariamente agli annunci strombazzati negli ultimi tre anni, l’Europa è impotente, l’Africa ci sfugge, il Mediterraneo non ci vuole parlare, la Cina ci ha addomesticato, Washington ci ignora e la politica adottata nei confronti di Tunisia ed Egitto è stata decisa dalla presidenza senza tenere conto delle analisi delle nostre ambasciate”.
Insomma, in Libia Sarkozy sta cercando sicuramente di risalire di qualche posizione nei sondaggi soprattutto in vista delle prossime elezioni presidenziali del 2012 ma per ora il suo partito, l’Ump, non sembra godere molto della campagna libica. In occasione del primo turno delle elezioni cantonali francesi tenutesi due giorni fa, infatti, il partito di Sarkozy ha ottenuto nei trentanove cantoni oltralpe un mero 17% rispetto al 15% del Fronte Nazionale di Marine le Pen, la possibile sfidante da destra delle future elezioni presidenziali.