La guerra in Libia e il nuovo mondo formato “BRIC”
25 Marzo 2011
Discrasia. La teoria di Ippocrate su equilibrio e squilibrio dei quattro stadi umorali della natura umana sembra essere, in queste ore, una buona chiave di interpretazione della crisi libica che sta scuotendo l’ordine internazionale. La “cattiva mescolanza” degli umori genera la malattia, come l’instabilità tra le parti rompe lo status quo e il conflitto investe l’intero sistema sociale. Così, in questo disordine sistemico si delineano sempre più marcatamente i perimetri di due fronti, i BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e l’alleanza occidentale, minacciati al loro interno dall’emergere di una disfunzione morbosa: un vuoto nel coordinamento.
Il rafforzamento delle posizioni non interventiste rispetto all’offensiva armata contro la Libia intraprese dalle potenze emergenti, che si legano saldamente in un fronte comune e unito, si contrappone all’indebolimento della coalizione occidentale, alle diatribe interne per la gestione del comando dell’operazione militare Odyssey Dawn. Da una parte Washington, Londra e Roma sostengono che per rendere pienamente efficaci gli obiettivi programmatici decisi con la Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sia necessario e urgente un comando multinazionale in seno all’Alleanza Atalantica e allargato anche agli Stati arabi; dall’altra Parigi scoraggia la polemica e rifiuta la proposta degli alleati ribadendo che “l’efficacia delle operazioni non è contestabile” e che “il coordinamento della NATO funziona”. Elemento perturbatore che ha acceso le divergenze fra gli alleati è stata la decisione dei francesi di sferrare, per primi e senza rendere notizia alla coalizione, l’attacco contro il regime di Gheddafi. Una scelta unilaterale che statunitensi e britannici non hanno molto gradito.
Oltre la “linea del fuoco” invece i BRIC consolidano le relazioni interne e con una sola voce esprimono il rammarico per la decisione delle potenze occidentali di abbandonare la via diplomatica, il dialogo e l’opzione di una risoluzione pacifica della crisi, disconoscendo il fondamentale ruolo di mediazione dell’Unione Africana. Se è prematuro considerare i BRIC come un unitario blocco economico formale, si deve però rilevare la sempre crescente acquisizione di peso geopolitico del “club delle potenze in ascesa” nell’arena internazionale e la convergenza dei loro orientamenti politico-strategici nella comune aspirazione di istituire un ordine internazionale multipolare e armonico, obiettivo dichiarato durante il primo Summit tenutosi nel giugno 2009 a Yekaterinburg.
L’astensione di Cina, Russia, Brasile e India dalla votazione della Risoluzione 1973 è sostanzialmente un portato della loro storica attenzione rispetto alla sovranità nazionale, all’integrità e all’unità di ciascuno Stato. Il principio di non intervento negli affari interni di un Paese è da sempre il cavallo di battaglia della Cina e della Russia che, essendo Stati multinazionali ed esperendo quotidianamente il dissenso intestino e le spinte centrifughe degli uiguri nel Xinjiang cinese e dei ceceni, ingusci ed osseti nelle steppe eurasiatiche, paventano la possibilità che il presupposto della necessità della protezione dei civili, punto prioritario della Risoluzione, si costituisca come “precedente” giustificativo di un’azione di ingerenza in un potenziale conflitto interno. Tuttavia, la difesa della sovranità nazionale non è sembrato essere un interesse così decisivo da indurre Russia e Cina ad opporre il veto, pertanto a bloccare l’offensiva militare sulla Libia, né da contrapporsi agli Stati Uniti o ai paesi arabi, convinti della necessità di intervenire con urgenza per proteggere i civili prima che scattasse il raid aereo francese.
A pochi giorni dall’inizio dell’azione militare ad emergere è indiscutibilmente il potenziamento del “blocco politico” dei BRIC, dell’esercizio dell’influenza e dell’attrattiva nei confronti dell’Unione Africana e della Lega Araba, che hanno scelto come interlocutore preferenziale proprio il nuovo polo geopolitico, condividendo con esso la denuncia “dell’uso sfrenato della forza” e la richiesta di cessazione del “bagno di sangue di civili” che si starebbe compiendo in Libia. Occorre evidenziare però che anche all’interno dei BRIC si cerca di sanare alcune crepe dovute ai contrasti emersi tra Medvedev e Putin rispetto alla dichiarazione di quest’ultimo poi confutata dall’altro che definiva una nuova “crociata” l’operazione bellica occidentale sulla Libia.
Se la decisione delle potenze emergenti di non sottoscrivere la Risoluzione aveva ridotto le ambizioni cinesi e russe di insediarsi nello scacchiere geopolitico nord-africano, di accedere al Mediterraneo e di sfruttare le ingenti risorse energetiche del territorio, per eterogenesi dei fini, le disparità intrinseche alla coalizione occidentale e l’alto livello di competitività interna per la leadership potrebbero ribaltare radicalmente gli esiti di questo confronto di forze e poteri. Volendo citare Sun Tzu, potremmo affermare che, a causa dell’imprevidibilità dell’evoluzione della crisi libica, i BRIC, guidati dalla Cina e dalla Russia, potrebbero trasformare i “vuoti” in “pieni”, le potenze occidentali in tigri di carta, afflitte da un’inguaribile discrasia.