La vera solidarietà non comincia da Lampedusa ma da vita e famiglia

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La vera solidarietà non comincia da Lampedusa ma da vita e famiglia

30 Marzo 2011

 

Realismo cristiano. La prolusione che il cardinale Bagnasco ha letto davanti ai vescovi del Comitato Permanente della CEI lunedì scorso 28 marzo è stata un bell’esempio di realismo cristiano. Realismo significa considerare che “tutto si tiene” e che bisogna cercare di abbracciare con lo sguardo la complessità dei problemi in tutta la loro concretezza. Per farlo bisogna assumere un’ottica “dall’alto”, è per questo che il cristianesimo è realista. Guardando dall’alto, vede lontano e vede tutto. Chi guarda da vicino vede invece solo quella cosa lì. Questa è l’ideologia.

Il realismo è stato prima di tutto impiegato nell’esame della situazione in Africa settentrionale, compresa la questione dei profughi. “Se si fosse tenuto lo sguardo rivolto sulla vitalità dei popoli più che sull’immobilità dei regimi” – se cioè si fosse stati realisti – forse si sarebbero potuti intercettare movimenti che invece sembrano aver colto di sorpresa. E’ meglio dire “sembrano” in quanto il Cardinale sa bene che il quadro non solo è “complesso e complicato” ma soprattutto “confuso”. Anche sull’esito del referendum in Egitto Bagnasco invita ad essere “molto prudenti”, suggerendo che i più avvantaggiati sembrano essere i Fratelli mussulmani.

Sul problema dei profughi o immigrati, il cardinale Bagnasco tiene realisticamente presenti tutti gli aspetti del problema. L’emergenza, secondo lui, è “comunitaria” – come va ripetendo il governo italiano – e non solo italiana e quindi l’Europa comunitaria è chiamata a passare dalla partnership della convenienza alla partnership della convivenza. Inoltre “c’è bisogno dell’impegno generoso delle singole Regioni d’Italia. Contemporaneamente bisogna “dare sollievo all’isola di Lampedusa e ai suoi abitanti” che non devono sentirsi invasi. Anche questo è realismo.Al fondo del problema, però, secondo il Cardinale, c’è la necessità di attuare una vera politica europea della cooperazione con l’Africa per “convincere i nostri fratelli a restare nella loro terra, rendendola produttiva”. Ma non si nasconde, il Cardinale, che questo interfacciarsi ha anche un aspetto culturale che non esita a definire “dirompente”.

Il realismo emerge anche nella trattazione della libertà religiosa, nell’esame della legge sul fine vita e, più in generale, nella valutazione del “male” dell’Italia di oggi. Il Cardinale Bagnasco, così, riconosce l’impegno del governo italiano nella difesa della esposizione pubblica dei simboli cristiani (il riferimento è alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo che ha accolto un ricorso del nostro governo). Della legge sul fine vita, Bagnasco dice che è “necessaria e urgente” per evitare la “giurisprudenza creativa che sta già introducendo autorizzazioni a scelte che non possono restare affidate all’arbitrarietà di alcuno”. Egli sa bene che esistono anche rischi, come molti esponenti cattolici e non – da Ferrara a Gnocchi a Pessina -hanno messo in evidenza – ma realisticamente dice che in questo momento questa è la cosa da fare.

Sull’Italia in generale c’è nella Prolusione un’espressione particolarmente pregnante: “L’Italia ha un estremo bisogno di ricomporsi, quasi raccogliendosi in se stessa e radunando le proprie energie migliori, per metterle tutte in circolo e produrre un passo in avanti, fuori dagli immobilismi come da proclami apodittici”. Si “parta dai dati della realtà” dice il Cardinale, dagli elementi “semplici” e “netti”. Sintomo principale di queste necessità è l’inverno demografico del nostro Paese, come se esso “fosse senza genealogia e non sentisse alcuna responsabilità generativa verso il domani”. La vera solidarietà comincia da qui, dalla vita e dalla famiglia. Inutile pensare di essere solidali oltre i nostri individualismi e cooperativi con gli altri se non siamo impegnati su una “relazione feconda di umanità, feconda anche in figli e opere”. Non è pensabile pretendere di risolvere il problema demografico solo affidandosi alla fecondità degli immigrati. Con queste osservazioni il Cardinale mette realisticamente il dito nella piaga principale dell’Italia di oggi: pretendere di produrre progresso col lavoro degli altri, di crescere numericamente con i figli degli altri, di darsi una identità con le identità degli altri. E’ il nostro lavoro, sono i nostri figli, è la nostra identità che dobbiamo riscoprire, proprio per poter poi cooperare anche con gli altri. Ma per far questo, oggi, serve un surplus di anima che la società italiana non si può dare se non richiamandosi a quei valori “che concorrono oggi a darci un volto, e in passato hanno fatto la nostra storia”.