Charlie: chi ha diritto a vivere

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Charlie: chi ha diritto a vivere

10 Luglio 2017

L’udienza per Charlie è rinviata a giovedì 13 luglio perché il giudice non ha voluto sentire ragioni ed è rimasto della sua opinione, evidentemente condivisa dai medici del Great Ormond Street Hospital (GOSH): il massimo interesse di Charlie è morire, perché non potrà mai guarire. 

E quindi non gli è consentito lasciare il GOSH perché altrove – nei migliori ospedali pediatrici del mondo – addirittura tenterebbero una terapia sperimentale, il che ai loro occhi equivale a un danno perchè non ci sono evidenze di guarigione o di miglioramenti importanti. Come hanno riportato le agenzie, secondo la cosiddetta “Alta Corte” inglese al momento esistono diverse e ampie prove che la stessa terapia sperimentale non modificherebbe “il profondo e strutturale danno cerebrale” del bambino.

E non perché lui soffra: quella è un’ipotesi e niente vieta, nell’incertezza, di dare antidolorifici (e forse già lo fanno, non lo sappiamo). Il problema è che quella vita, di per sé, per quei medici e quei giudici non è tollerabile: Charlie è senza speranza, non si può muovere e non è in grado di respirare né di nutrirsi da solo. E se non ci sono cure che possano migliorare sensibilmente quella condizione, non resta che farlo morire. Questo per loro significa tutelarlo.

E’ tutta qui la partita che si gioca intorno al piccolo inglese: la qualità della sua vita. Ma allora cosa ne facciamo delle persone con gravi lesioni cerebrali? Eutanasia per tutti i cerebrolesi che non hanno possibilità di guarire o di avere una qualità di vita considerata accettabile? 

Per i genitori di Charlie invece la speranza è un rischio da correre (come diceva Bernanos) e il loro bambino ha diritto a una chance, pur remota e a prescindere dall’esito: la sua vita è preziosa e ha un senso, anche così. E’ loro figlio. Perché rifiutare l’opportunità di una sperimentazione, offerta non da ciarlatani di passaggio ma da autorevoli esperti? Ma soprattutto nessuno ha ancora spiegato quale sarebbe la controindicazione a passare alle cure palliative lasciando attaccati respirazione e nutrizione assistita.

E pare non importi niente agli inglesi neanche della megafiguraccia a livello mondiale che stanno facendo: il GOSH rischia di passare alla storia da eccellenza internazionale a ospedale prediletto da Erode. Ma è un “effetto collaterale” che hanno deciso di accettare: evidentemente per quei medici sarebbe peggio se il bambino, una volta fuori dal loro ospedale, vivesse di più di quanto preventivato, o addirittura – orrore orrore – migliorasse anche solo nell’autonomia del respiro. Sarebbe la prova definitiva del fatto che loro i disabili gravi, quelli senza speranza, li lasciano morire. 

Ed è proprio questo, invece, che stanno mostrando al mondo, lo squarcio che Charlie ha aperto. Se gli operatori sanitari del Gosh hanno candidamente dichiarato di aver fatto il massimo per Charlie, e che i genitori non hanno accettato quel che invece di solito avviene, una domanda viene spontanea: cosa succede ai disabili gravi, di solito, e qual è il livello della qualità di vita ritenuto accettabile, negli ospedali inglesi? 

Probabilmente al GOSH sperano di portarla ancora un po’ per le lunghe, e pensano che Charlie nel frattempo risolva da solo questo pasticcio planetario, morendo, come tutti gli altri piccoli colpiti dalla stessa terribile malattia. Magari alla fine di luglio, quando la gente è in ferie, distratta, e magari la smette con tutto questo fracasso internazionale. E infatti voci “autorevoli” si sono levate in questi giorni, chiedendo quel silenzio che farebbe tanto comodo alle autorità inglesi. 

Che si rassegnino. Noi non molliamo. Continueremo a sostenere Charlie, il suo diritto a tentare, il suo diritto a essere sostenuto fino alla fine della sua vita, il suo diritto a non essere ucciso in nome del suo massimo bene.