Se la Cina si prende l’Africa
26 Luglio 2017
di Daniela Coli
Macron è diventato il nuovo mostro di Loch Ness dell’estate 2017 per i giornali italiani, perché, portando avanti un piano anglo-americano-francese, tenta col summit di Parigi di riconciliare Al Serraj, capo del fragile governo di accordo nazionale (GNA) e il generale Haftar, e di stabilizzare la Libia. Da notare che la Francia con Hollande ha sostenuto Al Serraj e mantenuto buoni rapporti con l’Egitto, mentre Macron ha subito invitato May, Putin e Trump a Parigi. Tutti a gridare contro il mostro Macron, che esclude la povera Italia dal summit, ma forse sarebbe più utile chiedersi perché nessun quotidiano italiano accenni al tentativo cinese di colonizzare l’Africa.
Se il governo italiano ha fatto una scelta, appoggiando Al Serraj, rompendo con l’Egitto, schierandosi con l’Iran e magnificando la nuova via della Seta cinese, è evidente che ha scelto la Cina e la Germania in Africa. Basta dare un’occhiata ai media inglesi, americani e francesi per capire il nuovo colonialismo cinese in Africa. La Cnn sarà anche presa dal Russiagate, ma dedica molto spazio al neocolonialismo cinese in Africa. Il 13 luglio ha dato notizia che la Cina ha stabilito la prima colonia militare a Gibuti, sulla punta del Corno d’Africa, che offre accesso allo stretto di Bab-el-Mandeb, uno stretto che collega il Mediterraneo attraverso il Canale di Suez e il Mar Rosso fino al Golfo di Aden e all’Oceano Indiano.
La Cina sta dispiegando la marina militare nelle acque della Somalia nel Golfo di Aden dal 2008, vuole inviare truppe in Eritrea, in Somalia, nel Sud-Sudan e nel Mali. Ed è stato proprio il New York Times che il 2 maggio 2017 ha dedicato la copertina alla Cina chiedendo: “Is China the New World’s Colonial Power?”. Perfino il Guardian del 24 luglio invita il Regno Unito a guardare a est e a sviluppare infrastrutture in Asia, nei paesi fuori dall’orbita cinese. Il Guardian mette anche in allerta contro la Via della Seta guidata dalla Cina che vuole creare una grande area economica che colleghi Asia, Europa e Africa attraverso una rete di strade, ponti, gallerie e condotte.
A gettare per primo l’allarme fu il Telegraph nel 2007, osservando che mentre l’Europa stava cercando di acquisire potere politico in Africa, la Cina, che acquista petrolio dall’Angola e dal Sudan, stava conquistando potere economico. Nel Sudan, Pechino ha costruito un gasdotto, l’estrazione di petrolio è sotto il monopolio cinese dal 1966. I cinesi hanno comprato miniere in Zambia, stabilimenti tessili a Lesotho – enclave all’interno della Repubblica del Sud Africa –, ferrovie in Uganda, legname nella Repubblica Centrafricana. Come ogni potenza economica, la Cina deve trovare materie prime e poiché il petrolio di Arabia saudita e Iraq le sono inaccessibili e l’America e le potenze occidentali hanno già sfruttato le maggiori riserve petrolifere del mondo, l’Africa diventa un obiettivo importante.
La Cina si è finora presentata solo come una potenza economica in Africa, ma è inevitabilmente destinata a diventare una potenza militare, a creare un nuovo colonialismo, un impero africano. Pechino ha già firmato accordi per i giacimenti di idrocarburi in Ciad, Mauritania e per i nuovi giacimenti di oro nero scoperti in Guinea Equatoriale, terzo produttore di petrolio dell’Africa sub-sahariana, dopo la Nigeria e l’Angola. La Cina ha anche puntato gli occhi sull’Egitto, che potrebbe essere una base importante per la nuova via della Seta cinese. Non illudiamoci, il neocolonialismo cinese farebbe impallidire Joseph Conrad e Franz Fanon che deprecavano quello dell’uomo bianco. Siamo in presenza di un regime spietato, che mette insieme liberalismo materialista e un sistema giuridico politico brutale e tirannico.
Allineandosi a Xi Jinping con cui vuole costruire un’alleanza militare, la Merkel ha fatto una scelta di campo. Macron si è invece collegato agli anglo-americani e la Francia, che fa certamente i propri interessi, a differenza dell’Italia non ha esitato a impegnare forze speciali nel Sahel e a non lasciare alla Cina la difesa di Ciad, Niger e Repubblica centrafricana. Tutto questo mentre l’Italia di Renzi e Gentiloni è rimasta inerte, amoreggiando con la Cina e inondando la Penisola di migranti africani, fino a farla quasi diventare una Calais Jungle.