Regeni, Obama e il caos figlio delle “primavere arabe”

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Regeni, Obama e il caos figlio delle “primavere arabe”

16 Agosto 2017

Con una decisione tardiva ma dettata dal buonsenso, il governo italiano rimanda il nostro nuovo ambasciatore in Egitto, dopo che il suo predecessore era stato richiamato a Roma per consultazioni, in segno di protesta con Il Cairo per la mancata collaborazione delle autorità egiziane nel far luce sull’omicidio di Giulio Regeni – il ricercatore trovato cadavere nella capitale egiziana diciotto mesi fa. 

Decisione tardiva dal punto di vista degli equilibri internazionali, perché nel frattempo il presidente egiziano Al Sisi ha pranzato con la cancelliera tedesca Angela Merkel di fronte alla Piramidi ed è stato accolto con tutti gli onori alla Casa Bianca da Donald Trump. L’Italia invece è un Paese isolato che cerca di recuperare in corner gli errori commessi in politica estera nel recente passato. Decisione comunque di buonsenso quella di rimandare il nostro ambasciatore in Egitto, considerando che non potevamo non avere un rappresentante diplomatico al Cairo nel momento in cui sta per diventare operativo l’investimento previsto dalla italiana Eni con il governo egiziano per lo sfruttamento del mega-giacimento Zohr. Paese governato con il pugno di ferro, l’Egitto, ma che resta un attore con cui fare necessariamente i conti sia per la stabilizzazione della Libia, sia per il contrasto del terrorismo islamico, sia nel contenimento e nella gestione dei flussi migratori irregolari. 

Fino adesso non sono state accertate responsabilità certe sull’omicidio Regeni e vedremo se qualche altro tassello nelle indagini verrà fuori dai faldoni in lingua araba recapitati dal Cairo agli investigatori italiani, in concomitanza con la partenza del nostro nuovo ambasciatore. Ma se i renziani avessero seguito la stessa linea adottata con l’Egitto in questi diciotto mesi anche con altri paesi coinvolti nel caso Regeni, allora avremmo dovuto richiamare a Roma il nostro ambasciatore a Londra, visto che l’università inglese con cui lavorava il ricercatore di Fiumicello si rifiuta di dare informazioni alle nostre autorità giudiziarie. Invece la nostra feluca in Egitto l’abbiamo richiamata in fretta e furia, lasciando la nostra sede diplomatica scoperta per un anno, mentre quella a Londra è rimasta al suo posto, com’è logico che sia del resto. 

Meno logico fu far rientrare in modo così precipitoso Massari dal Cairo. Perché? A dirlo è il ben informato New York Times. Fu Obama, scrive il giornale americano, l’intelligence Usa, a dire ai renziani di avere in mano informazioni “esplosive” sul caso, “prove che gli ufficiali della sicurezza egiziana avevano rapito e torturato e ucciso Regeni”. “Abbiamo evidenze incontrovertibili su queste responsabilità”, scrive il Times citando una fonte della amministrazione Obama. Le fonti di intelligence non vennero condivise con l’Italia eppure Renzi e il suo ministro degli esteri Gentiloni scelsero la linea dura verso il Cairo: è sufficiente ricordare il tono delle dichiarazioni di allora dell’ex premier, “vogliamo una verità reale, non la verità più conveniente”, “ci fermeremo solo quando avremo trovato la verità”. La verità sul caso Regeni purtroppo ancora non c’è, ma l’errore commesso più di un anno fa dal governo, tipico delle sparate propagandistiche renziane, fu dare l’impressione che a capo del nostro Paese ci fosse una sorta di succursale di Amnesty International, impegnata a inseguire la giusta, anzi doverosa, mobilitazione di giornali e opinione pubblica italiani sull’onda dell’indignazione per la tragica fine di Giulio Regeni.

È un dovere morale nei confronti della famiglia Regeni fare luce su quanto accadde in Egitto ma adesso grazie ai giornaloni USA sappiamo anche un’altra cosa: furono gli Stati Uniti di Barack Obama – quelli che avevano favorito l’ascesa al potere della Fratellanza Musulmana in Egitto dopo i fuochi fatui di piazza Tahrir, gli stessi Stati Uniti che poi si trovarono a dover fare i conti con i generali e con l’elite egiziana impegnate a evitare che il proprio paese sprofondasse nel caos come la Libia o la Siria – furono gli obamiani a spingere i renziani a richiamare il nostro ambasciatore dal Cairo, incrinando dei rapporti diplomatici che risalgono perlomeno all’inizio del secolo scorso. Verità per Giulio Regeni, dunque, ma si faccia anche chiarezza sulle verità storiche, su cosa sono state davvero le primavere arabe sponsorizzate da Obama e sulle responsabilità che hanno le classi dirigenti progressiste negli USA e in Italia per tutto quello che è avvenuto in questi anni nel Mediterraneo.