Ad Annapolis si negozia la pace, tentando di isolare Teheran

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Ad Annapolis si negozia la pace, tentando di isolare Teheran

27 Novembre 2007

Quella di Annapolis è un’occasione da non perdere per
rilanciare il dialogo e la pace. Non una photo opportunity come dicono tutti.
Parola di George W Bush, il presidente americano che fortissimamente ha voluto
questo meeting e che oggi alle 17 ha tenuto il proprio discorso inaugurale
anticipandolo due ore prima alle agenzie di stampa. Tutto per attendere la
conferma che Olmert e Abu Mazen avevano trovato un accordo per una dichiarazione
congiunta che sarà poi letta durante il summit ma che fondamentalmente promette
un accordo di pace entro la fine del 2008.

Cosa che a Bush farebbe un immenso piacere perché gli
permetterebbe di chiudere i propri otto anni alla Casa Bianca in maniera diametralmente
opposta a Clinton: un successo contro un fallimento.

Per Bush “l’obiettivo della Conferenza di Annapolis sul
Medioriente è quello di far ripartire il negoziato, non di concludere un
accordo”. E così buttandosi con le mani avanti sicuramente non cadrà
all’indietro in caso di tiepidi risultati. Comunque, dichiarazione congiunta o
meno, di fatto allo stato attuale delle cose non esiste alcun
accordo né sul diritto al ritorno dei profughi del 1948 né sul futuro status di
Gersualemme come capitale divisa o condivisa dei due stati. In pratica  la
cosa è ancora ferma sui punti in cui ci si arenò a Camp David nel luglio del 2000.
Nel discorso di apertura di Bush non c’è stata alcuna menzione alle alture del
Golan e alla questione siriana, né intenzione di parlarne, a quanto pare,
la stessa Condoleeza Rice.

Bush ha ribadito ”che il nostro lavoro è incoraggiare le
parti in questo sforzo e dare loro il sostegno di cui hanno bisogno per
riuscire”. Insomma, come già anticipato nelle scorse settimane, la palla viene
lanciata in avanti a una futura conferenza che si terrà nella primavera del
2008 dove forse si raccoglieranno i frutti, se ce ne saranno, di questa “non
photo opportunity”.

Peraltro ieri il Jerusalem Post ha pubblicato un articolo
cattivello del corrispondente arabo dai territori, Khaled Abu Toameh, che
manifestava scetticismo per le “solite vecchie facce” dei mediatori
palestinesi, a cominciare da Ahmed Qure’i, nome di battaglia Abu Ala, definiti
“uomini per tutte le stagioni e per tutti i fallimenti.”

E in tutti i territori palestinesi, sia quelli sotto il
controllo di Hamas a Gaza dopo il golpe di giugno, sia quelli della
Cisgiordania, ancora controllati da Fatah, ieri si sono svolte manifestazioni
di protesta. Incoraggiata dalla cricca terrorista di Hanyeh quella di Gaza,
repressa a pistolettatate dal servizio di sicurezza di Abu Mazen quella in
Cisgiordania.

D’altronde i palestinesi, almeno la massa, sanno sempre dove
stare in questi casi: cioè dalla parte sbagliata.

E infatti, e non a 
caso, l’Iran ieri ha avuto la pensata, perversamente geniale, di
organizzare una specie di Contro Annapolis a Teheran, invitando tutti i
rappresentanti delle organizzazioni terroristiche che operano in Medio Oriente:
dalla jihad islamica ad hamas, all’Fplp di Ahmed Jibril. In tutto dieci fazioni
irriducibili nel loro odio anti israeliano e anti semita.

C’è da dire che l’Iran vede come il fumo agli occhi la
partecipazione di Siria e Arabia Saudita alla conferenza di pace di Annapolis e
non fa niente per nasconderlo. La repubblica islamica sciita presieduta da Mahmud
Ahmadinejad interpreta la doppia partecipazione in oggetto come un evidente
tentativo di isolare l’Iran ancora di più. E monta un rancore sordo soprattutto
verso la Siria con la quale i rapporti stanno diventando quanto meno ambigui.

Diverso il discorso con i sauditi: oramai nel Golfo Persico sembra non esserci
posto per due superopotenze religiosamente contrapposte come la monarchia dei
Saud, sunnita, e la repubblica islamica degli ayatollah, sciita. Sembra di
rivedere lo scenario che precedette la guerra tra Saddam Hussein e  l’Iran nel 1980. Al
summit voluto dalla Casa Bianca non partecipa infatti solo la Siria, unico
paese islamico considerato un alleato
dalla Repubblica Islamica, ma hanno aderito anche  importanti partner economici di Teheran come
Cina, Russia, Sudafrica, Iraq e gli Emirati Arabi Uniti.

“Questo vertice – scrive in un
editoriale Kayhan, il quotidiano radicale di Teheran
– non è stato convocato per risolvere la questione palestinese, ma per dar vita
a un fronte anti iraniano e antisciita”. E anche questo effetto collaterale
prima o poi dovrà essere preso nel giusto verso e tenuto nel debito conto.
D’altronde molti quotidiani arabi e israeliani condividono l’analisi di Kayhan. E, pur commentando positivamente
la presenza della Siria e dell’Arabia Saudita, parlano di una riunione che
dovrebbe spingere l’Iran in un angolo e isolarlo ulteriormente sullo scenario
regionale e internazionale. Questo potrebbe anche volere dire che Annapolis se
da una parte potrebbe diventare la prima tappa verso la pace in Medio Oriente
tra israeliani e palestinesi, e le notizie di oggi fanno ben sperare in tal
senso, dall’altra potrebbe essere l’ultimo stadio della diplomazia americana
prima della guerra contro l’Iran.