Dopo la morte della Bhutto il mondo teme un nuovo 11 settembre
27 Dicembre 2007
Sapeva che sarebbe morta assassinata. Come il padre Zulfiqar
Alì, impiccato dagli islamisti di Zia ul Haq nel 1979 dopo il golpe, o come il
fratello, Murtaza, ucciso a Karachi nel 1996, o come l’altro fratello, Shahnawaz, ucciso a Cannes sempre dai sicari della
polizia dell’ex dittatore nel 1985. Sapeva di morire perché proprio gli uomini
dell’ex raiss pachistano (prima di Musharraf) glielo avevano annunciato sin dal
suo ritorno in patria: “i martiri dell’islam
staranno lì ad attenderti”. E infatti il 18 ottobre scorso, il giorno stesso del suo
arrivo, scampò mircolosamente a un altro “shaheed” che fece qualcosa come 150
morti nel suo corteo che era venuta ad accoglierla all’aereoporto.
Oggi i
seguaci di Zia sono i principali alleati di Al Qaeda in Pakistan e Musharraf ha
paura ad affrontarli in campo aperto, tanto che in tutti questi anni è sempre venuto a
patti con loro, ben sapendo che la prossima vittima potrebbe essere proprio
lui.
Le modalità con cui è stata assassinata Benhazir Buttho
fanno oggi temere al mondo occidentale un nuovo 11 settembre. A nessuno degli
analisti dell’anti terrorismo è infatti sfuggita l’analogia con l’attentato
suicida con cui fu fatto fuori un paio di giorni prima dell’11 settembre 2001
proprio il famoso “loene” Massud, il capo della resistenza afghana non fondamentalista
contro l’ex Unione Sovietica. L’ultimo baluardo contro i talebani in Afghanistan.
Così come la Bhutto
era considerata un “asset” americano contro l’islamismo radicale in
Pakistan. Espressione ripetuta
sghignazzando al telefono dal portavoce di Al Zawhiri nell’unica
(per ora) rivendicazione dell’episodio.
All’epoca dell’attentato a Massud ci furono due finti
intervistatori che fecero esplodere la telecamera immolandosi insieme al leader
rivale di Bin Laden. Oggi invece, per
uccidere la Bhutto, si è ricorsi a un cecchino. Che prima ha sparato cinque
proiettili contro la donna che stava montando in auto dopo un comizio e poi,
circondato dalle guardie del corpo dell’ex leader pachistana, si è fatto
esplodere assassinando altre 25 persone.
Ora la prima emergenza è prevenire lo scoppio di una guerra
civile a Islamabad e dintorni e per questo sono già apparsi in tv sia Musharraf sia il primo ministro Mohammedmian
Soomro per invitare la gente alla calma e a starsene a casa. Ciò nonostante la
polizia ha già dovuto fare fronte a
sollevazioni spontanee dei seguaci della Bhutto un po’ in tutte le principali
città del paese.
Ora gli occhi del mondo sono puntati sul presidente
pakistano Pervez Musharraf, che è
impegnato in queste ore in una riunione d’emergenza con i principali funzionari
del governo. Lo stato di allerta è già stato decretato ma molti credono che si
vada addirittura verso un ristabilimento del regime di emergenza in tutto
il paese e verso il rinvio delle elezioni dell’8 gennaio cui la stessa Bhutto
era candidata in contrapposizione a Musharraf.
Proprio alcuni giorni fa in un altro comizio la Bhutto aveva
accusato Musharraf di non fare abbastanza per impedire che il paese si
trasformasse in “Alqaedistan”. Oggi i fatti sembrano darle ragione in maniera
drammatica. Come non ha mancato di sottolinere l’altro teorico candidato alla presidenza
della repubblica in contrapposizione a Musharraf, Nawal Sharif, l’ex premier
che tentò di rientrare in Pakistan a settembre poco prima dell Bhutto e che non
fu fatto neanche atterrare ma venne rispedito indietro negli Emirati arabi
uniti da cui proveniva.
Secondo l’ex primo ministro in esilio, che ha parlato con la
Bbc, “c’è stata una grave falla a livello di sicurezza”. Poi Sharif si è
affrettato a dichiarare che “il mio partito non ci guadagna niente dalla morte
della Bhutto che è anzi una vera tragedia per tutto il paese”. Questa specie di
excusatio non petita è rivelatrice di
come ormai in Pakistan il “tutti contro tutti” non renda praticamente nessuno
al di sopra di ogni sospetto. Certo c’è stata la rivendicazione di Al Zawahiri che,
per bocca del suo portavoce ufficiale Sheik Saeed, ha parlato da un
satellitare non rintracciabile con un giornalista dell’Adn kronos
international.
Ma tutti sanno che al Qaeda in Pakistan intrattiene
relazioni pericolose non solo con i servizi deviati di Musharraf ma anche con uomini border line che
fanno capo ai suoi oppositori in un tragico gioco delle parti che sta portando
rapidamente alla destabilizzazione dell’unico paese islamico che ha l’atomica.
Mentre l’altro paese che aspira ad averla, l’Iran, ieri sera si è affrettato a
prendere le distanze da un attentato che sembra fare paura anche agli
ayatollah. Il tutto per bocca di Mohammed Alì
Hosseinim, portavoce del ministro degli esteri di Teheran.
In tarda serata è stato anche convocato d’urgenza il
Consiglio di sicurezza dell’Onu per discutere i delicati aspetti della minaccia
terroristica islamica globale che ieri ha dimostrato ancora una volta di potere
colpire chiunque e ovunque nel mondo senza che alcuna intelligence possa
prevenire alcunché.