Nessuna modifica. La legge sull’aborto va solo applicata
02 Gennaio 2008
La legge 194 non si tocca, dice il Ministro della Salute Livia Turco, intervenendo nel dibattito di questi giorni sull’aborto, in sostanziale accordo con quanto dichiarato dalla gran parte dei politici interpellati a proposito. Ma da chi e da cosa il Ministro vuole difendere la legge?
Nelle sue recenti dichiarazioni il Card. Ruini non ha parlato di modifica della legge ma di una sua integrale applicazione anche ‘in quelle parti che davvero possono essere in difesa della vita’, e inoltre di un aggiornamento – che si può ottenere fin da subito con opportuni atti amministrativi – che tenga conto dei progressi della medicina, grazie ai quali bambini estremamente prematuri possono sopravvivere al di fuori del grembo materno, anche in gravidanze arrivate a poco più della metà del loro percorso.
Su questo specifico punto è la clinica Mangiagalli di Milano ad aver preceduto tutti, stabilendo che, nel rispetto della legge 194, non è possibile in nessun caso effettuare aborti quando la gravidanza è oltre le ventidue settimane e mezzo, termine oltre il quale il feto ha possibilità di vita autonoma: con un atto amministrativo da parte del ministero della Salute sarebbe possibile estendere questa indicazione a tutto il territorio italiano, evitando aborti tardivi. Perché no? Se c’è qualcuno che vuole che si facciano aborti su feti che possono sopravvivere, che lo dica apertamente.
Quelle del Card. Ruini sono richieste ragionevoli e condivise, almeno a parole, che non necessitano di un cambiamento della 194, ma di una sua piena e completa applicazione. Eppure i giornali hanno strillato titoli che niente hanno a che vedere con tutto questo: secondo il Corriere della Sera “Ruini sull’aborto: modificare la legge”, e “mozione di Bondi per rivedere la 194”, mentre la Repubblica titola in prima “Forza Italia con Ruini “la legge 194 va cambiata”. Leggendo poi il testo degli articoli si capisce che le cose non stanno così, ma intanto il danno è fatto, l’allarme è lanciato: travisando dichiarazioni pubbliche e atti parlamentari l’antica contrapposizione laici-cattolici è pronta e scodellata, utile solamente a chi vuole impedire che si cerchino soluzioni efficaci e condivise. Da quando anche nel nostro paese l’aborto è stato legalizzato, infatti, quasi non è stato più possibile parlarne, se non nei termini di ideologici, furiosi e inutili scontri politici, che impediscono di guardare in faccia il problema per cercarne insieme una soluzione adeguata ed efficace.
La mozione presentata dall’onorevole Sandro Bondi, di Forza Italia, è stata depositata tre mesi fa e non c’entra niente con le dichiarazioni del Card. Ruini; in parlamento poi giacciono da tempo altre proposte firmate dall’on. Luca Volontè e da altri parlamentari dell’Udc. Queste proposte, insieme alle ultime dichiarazioni dei teodem Paola Binetti e Luigi Bobba, stanno a dimostrare che una strada comune è percorribile, condivisibile, al di là di schieramenti e posizionamenti di partiti vecchi e nuovi.
Anche la proposta di moratoria sull’aborto lanciata dalle colonne del Foglio in questi giorni è una provocazione che non ha come obiettivo la messa in discussione di una legge, ma che vuole riportare l’attenzione generale sul fenomeno in sé, sul fatto cioè che ogni giorno si impedisce a tanti, troppi bambini di venire al mondo.
Eppure a volte basta veramente poco per sostenere una donna in difficoltà, per permettere a una donna di diventare madre: ce lo raccontano i volontari dei Centri di Aiuto alla Vita, che da sempre, nel silenzio – quando non nell’irrisione – dei media e nell’irriconoscenza di gran parte della politica, incontrano, ascoltano, e accompagnano le madri in difficoltà, e che in questi anni hanno permesso a decine di migliaia di donne di far nascere i loro bambini. “Una donna per accogliere si deve sentire accolta”, ripete sempre Paola Bonzi, responsabile del Centro di Aiuto alla Vita della Mangiagalli di Milano, che aveva presentato le proprie dimissioni perché i soldi non le bastavano più, e non riusciva più ad aiutare le donne che si rivolgevano a lei. Grazie all’allarme lanciato dalle colonne di Avvenire e del Foglio, la Regione Lombardia e il Comune di Milano hanno stanziato 700.000 euro proprio per questo centro, a dimostrazione che restando nell’ambito di una legge tanto discussa e discutibile è possibile comunque fare moltissimo per sostenere maternità difficili, dando alle donne la libertà di non abortire, quella libertà di cui chi ha potuto usufruire non si è mai pentita.
E’ così difficile trovare accordo su questi punti, lavorare insieme perché forme concrete di solidarietà trovino sempre più spazio, perché l’aborto sia sempre meno considerato come una possibilità, una via d’uscita da problemi economici, familiari, o anche di solitudine? Non dovrebbe esserlo, neppure con chi trent’anni fa si è battuto per la sua legalizzazione.
Cominciare ad applicare pienamente la 194, insomma, lavorando insieme perché la maternità sia pienamente valorizzata, e perchè un giorno, il più vicino possibile, questa legge non serva più.