A Bruxelles vincono gli Stati Nazione e forse non è una brutta notizia
22 Luglio 2020
C’è un dato su cui poco si riflette, ma è molto significativo a mio avviso. Dalla partita europea ad uscire sconfitti sono la Commissione e il Parlamento, e quindi in sostanza l’idea della federazione europea: quella, per intenderci, che sta tanto a cuore ai vari Scalfari, Bonino e “piùeuropeisti” vari di casa nostra. Più realisticamente l’Unione si configura oggi come una Confederazione, una alleanza di Stati che in sede centrale risolvono dei problemi in comune facendo pesare sul tavolo la loro forza specifica e il loro “interesse nazionale”. Forse è stato sempre così, in buona parte, ma ora il re non si vergogna più di farsi vedere nella sua nudità. Di fronte all’ “interesse nazionale” anche gli ambiziosi progetti eco-digitali di Ursula von der Leyen, che in parte rispondono agli interessi di riconversione industriale tedesca, sono stati sacrificati, con una rilevante sforbiciata. Se la mia analisi è giusta, ne discendono allora alcune conseguenze. Prima di tutto, il fatto che si può dire che la storia sia più forte dei progetti illuministici che vorrebbero mettere fra parentesi secoli di differenze e diversità, soprattutto culturali, fra Paesi del Nord e del Sud, dell’Est e dell’Ovest, e via discorrendo.
Non so se i “sovranisti” escano perdenti dalla battaglia di Bruxelles, come vorrebbe la retorica europeistica mainstream, sempre molto forte in Italia, ma di certo il nazionalismo, o se preferite l’idea di nazione, non solo riconquista punti ma direi quel ruolo centrale che il globalismo delle élite europee aveva offuscato. La seconda conseguenza è che, in questo contesto, Berlino detta le carte e, tranne Parigi in minima parte, nessuno può contrastarla. Terza conseguenza, l’Italia si siede al tavolo in posizione di strutturale debolezza: per la sua mancanza di politica estera, per la sua incapacità di stringere alleanze seriamente, per la situazione politica generale, per i suoi conti pubblici. Che poi soprattuto questi ultimi siano anche in parte conseguenza dei primi tre fattori e che l’Europa, per l’incapacità e anche la non consapevolezza dell’interesse nazionale da parte delle nostre classi dirigenti passate, abbia contribuito a peggiorare la nostra situazione, è un discorso da fare in altra sede, prima di tutto storiografica. In verità, ed è l’ultima conseguenza del mio discorso, un punto di forza noi lo abbiamo: siamo too big to fail, cioè un nostro fallimento si porterebbe dietro quello dell’Europa e dell’Euro e creerebe problemi non indifferenti anche a molte industrie tedesche.
Il potere europeo non ci farà fallire ma ci condizionerà sempre più, anzi ci ha già condizionato favorendo la nascita del secondo governo Conte. Parlare di “condizionalità” solo in senso tecnico, come di solito si fa, suona un po’ paradossale. Il deficit di democraticità dell’Europa diventa ora relativo: tutti a Bruxelles guardavano al proprio elettorato nazionale. Che è poi, a ben vedere, una conferma indiretta della tesi qui argomentata.