A Cannes l’effetto Sarkò

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A Cannes l’effetto Sarkò

29 Maggio 2007

Nonostante Micheal Moore e la sua (cattiva) diagnosi sulla salute dell‘ennemi américain. Nonostante Serge Castellittò e la sua parodia di Monsieur le Président («Ho visto il suo sito Internet: sembrava Canale 5»). Nonostante il conservatorismo di Kusturica e di Kim Ki-Duk. Nonostante la Turchia in Europa di Fatih Akin. Nonostante tutti gli avanzi di gauche caviar ancora sparsi sul Red Carpet della Croisette. Nonostante tutto, Sarkò non si è fermato a Cannes. E una benedetta rupture ha contraddistinto anche il Festival Palma d’oro di certo immobilismo d’Oltralpe, povero esprit alla ricerca della grandeur perduta, tra docu-ideologia e correttismo modaiolo. Vero: la rottura si è un po’ confusa «con la pallosità occidentale e con quella orientale» delle solite prove d’autore (Mariarosa Mancuso). Ma il suo segno particolare lo si è visto eccome, impresso sulle pellicole in concorso. Cristian Mongiu si prende tutto il tempo necessario per riportare alla luce l’aborto clandestino, mal praticato anche solo per non figliare nuovi fedeli irregimentati a  Ceausescu: esattamente 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni (Romania 2007). La camera, mai così nitida, immortala quel feto senza colpa, vittima di una decisione senza morale, né buona né cattiva. Una vera e concreta occasione di vita persa nel nulla. Trionfa il realismo, nel film vincitore della rassegna. Lo stesso tratto che distingue anche Lo scafandro e la farfalla, di Julian Schnabel (Francia-USA 2007). Niente sentimentalismo, bastano i sentimenti. E nessun pregiudizio: meglio osservare il mondo così com’è, così come lo vede il solo occhio buono di Jean-Dominique Bauby, lui e la perfida ironia di una paralisi che ribalta il punto di vista. Eppur si muove! Realismo ma anche slancio e apertura, nello sguardo addolorato di Lee Chang-Dong (Secret Sunshine, Corea del Sud 2007). Oltre il non-senso dell’individualismo, la persona si ritrova e si riscopre in una comunità. Altro slancio e apertura alla libertà: Persépolis di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud (Francia 2007) mette nero su bianco il grigiore della Teheran anti-democratica e anti-occidentale. Come da dizionario della rupture: qui l’integrazione rispetta l’identità nazionale. Parole d’ordine valide per governare città e periferie. Realismo, slancio e apertura, libertà. Resta il merito, ultimo tra i capisaldi della stratégie sarkozysta. A Cannes, ditta premificia come tante altre, lo si è distribuito a ben 9 dei 22 titoli in cartellone. È troppo? Del resto la rassegna ha convinto molto, nel suo complesso. E in fondo non è neanche un mese, che all’Eliseo c’è un nuovo inquilino.