A che servono gli uomini se si può avere la maternità fai da te?

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A che servono gli uomini se si può avere la maternità fai da te?

A che servono gli uomini se si può avere la maternità fai da te?

20 Gennaio 2008

Tanto per cominciare, il solo titolo è già
inquietante: suona qualcosa come “Mettiti incinta!”, esortativo alla
riproduzione autonoma per aspiranti madri indomite.

Il sottotitolo è ancora più
temibile, soprattutto con quella patina da spiritoso manualetto di self-help: “No man? No problem. Guida
completa per diventare una madre single”.

Spaventoso, perché dietro il tono
frizzante da letteratura per pollastre metropolitane, si nasconde un vero
compendio di consigli pratici e filosofici per buttarsi a capofitto e senza
scrupoli nell’impresa di avere un figlio tutto da sola: per via artificiale,
senza neppure desiderare che abbia un padre accanto, e soprattutto
inseminandosi da sé. 

Fino ad oggi a chi legge poteva essere sfuggito
che delle panciute siringone da cucina, che da noi si usano in pasticceria, e
negli Stati Uniti più avvezzi al consumo di tacchino vengono adoperate per
farcire le bestiole, potessero essere utili ausili alla auto-inseminazione
artigianale. Ma per Louise Sloan, autrice di “Knock yourself up”, da poco nelle librerie americane, e
fortunatamente oggetto di attacchi molto poco carini da fronti ideologici
opposti, non ha segreti. Il turkey baster
è proprio quello che ci vuole.

Sloan parte dalla sua esperienza personale –
quarantadue anni, lesbica, single dopo la fine di una lunga relazione, sceglie
di avere un figlio da un donatore di sperma anonimo – per allargare alle
testimonianze di più di una cinquantina di donne, lesbiche ed etero, a sentir
lei “la nuova stirpe di madri single”.

Non si ferma qui, già che ha deciso di fare
outing. E cerca di convincerci che va benissimo. Che sarà pure una scelta
egoista, ma tanto quanto quella delle coppie sposate che incontra, alla ricerca
di un figlio per il più naturale degli egoismi; che sono tante le donne che
ribaltano le priorità, e che pensano ad avere un figlio prima di tutto, poi
chissà, anche un partner, se capita e se si avrà fortuna.  Il suo bambino di due anni è nato al
tredicesimo tentativo, e le prime otto volte, finchè non si è rivolta al
medico, ci ha provato da sola.

Il libro è ricco di dettagli ginecologici, come
deve essere se intende fare da autorevole riferimento per la pragmatica tribù
delle madri-monadi, e non manca il ricordo del suo appartarsi ogni volta con il
pacco arrivato via corriere (operatrice DHL: “contenuto della spedizione,
signora?” “Lo sperma del donatore che ho scelto stavolta, sul sito ho visto che
è un figo, poi a lui piace il calcio, io invece amo i gatti, una bella
combinazione di gusti”). Racconta pure di quelle più fantasiose, che fanno
dell’inseminazione un momento vestito a luna di miele, illudendosi che il
concepimento si rivesta di sacralità e teatralità.

Ritiene che le madri single sentano di avere molto
da dare ai figli che desiderano, ma non pensa debbano necessariamente offrirgli
un padre. E a parlare è una che ha perso il genitore da piccola e sa meglio di
chiunque altro che peso abbia quell’assenza sulla vita di una persona. Ma va
bene così, saprà spiegare a suo figlio, come saprà pensare lei a tutto. Ha
avuto occasione di incontrare diversi ragazzi nati da donazioni di sperma a
donne single, e le sembrano tutti pacificati e non particolarmente smaniosi di
avere a che fare con l’altra metà da cui hanno avuto inizio.  E poi, dichiara a una esterrefatta giornalista
del Times, qualora suo figlio una
volta adulto volesse rintracciare il padre, e questo non fosse possibile, è una
delle tante sofferenze cui tutti siamo esposti nel corso della vita.

Dell’argomento adozione, poi, neanche a parlarne.
Lei e tutte le intervistate nel libro vogliono assolutamente vivere
l’esperienza della gravidanza, del parto, dell’allattamento, non vogliono
sentire ragioni. E proprio in questo desiderio di “naturalità” si manifesta la
contraddizione più profonda, alla radice della vicenda che Sloan narra in modo
tanto dettagliato. Da un lato, lei e le sue
“colleghe” negano del tutto la natura, nel ritenere che a procreare invece che
un uomo e una donna bastino una donna e una siringa. Dall’altro però la natura
si prende intera la sua rivincita su di loro, spingendole a desiderare un
proprio figlio biologico. Quella natura che in sé avvertono tanto prepotente da
non riuscire a resisterle, così, la negheranno ai loro figli privandoli di un
padre.

Che dire a Louise ? Anzitutto che poteva tenersi
di più per sé, senza cercare consensi nascondendosi dietro l’alibi della guida
utile per chi si trova nella situazione che lei ha già sperimentato. Peccato
che andando a curiosare in rete, dove le sue simili hanno lasciato commenti
entusiastici, si scopre che molte sono felici che qualcuno abbia fatto outing
per loro. Alla ricerca dell’approvazione anche su questo fronte, nulla ci sarà
risparmiato.

Però irrita che nessuna di loro voglia preoccuparsi di cosa accadrà
quando – inevitabilmente, come testimoniano le madri di figli più grandi,
checché possa dire l’autrice
– non appena conquistato il linguaggio, una delle prime domande sarà “dov’è
papà”.  E non parliamo del seme residuo
che ha fatto congelare. Confessa candidamente che è in trattative con una
coppia di lesbiche che vorrebbero un figlio, perché non le dispiacerebbe che
questi bimbi sapessero di avere fratelli. “Ma forse è illegale venderle…”.