A Contrada negati anche gli arresti domiciliari

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A Contrada negati anche gli arresti domiciliari

18 Dicembre 2007

Non ci sarà alcuna pietà per Bruno Contrada: il 12 dicembre,
a pochi giorni dall’anniversario del suo arresto – avvenuto in Palermo alla
vigilia del Natale del 1992 – il giudice del tribunale di sorveglianza di Santa
Maria Capua Vetere, carcere militare dove si trova recluso, ha negato l’urgenza
dei motivi di salute per accogliere la richiesta di arresti domiciliari.

E tra qualche settimana sarà il
tribunale di Napoli a decidere sull’istanza di differimento della pena per
motivi di salute. Ma l’aria che tira non è delle migliori.

Una volta infatti negati gli arresti domiciliari, in attesa
che la richiesta venga dibattuta nel merito, implicitamente si nega anche
l’urgenza della sua malattia. E i giudici di Napoli difficilmente smentiranno i
propri colleghi di Santa Maria Capua Vetere.

Così quest’uomo resterà in carcere anche questo Natale, in attesa che lo stato italiano decida finalmente di riconoscere un
proprio errore giudiziario.

Cioè quello di tenere in ostaggio, sia pure con una
condanna  a dieci anni per concorso
esterno in associazione mafiosa ormai passata in giudicato, “l’ultimo mohicano”
della stagione dei teoremi della procura di Palermo (Carnevale, Andreotti, Mannino,
Berlusconi stesso, tutte inchieste finite nel nulla o quasi) dei tempi in cui
era Giancarlo Caselli a rivestire la carica di procuratore capo.

“Contrada in carcere – spiegano la moglie Adriana del
Vecchio e sua sorella Marisa – serve ormai solo 
per tenere ancora in piedi la parola di quei pentiti talmente screditati
che si rischia anche che un giorno possano venire annullate le condanne ai
mafiosi veri e propri  come Riina e
Provenzano, laddove basate unicamente sulla loro testimonianza”.

Insomma, Contrada, dopo avere servito lo stato per circa 40
anni (ora ne ha 77) ed essere stato sbattuto in galera sulla parola di quei
criminali che lui stesso aveva assicurato alla giustizia, dopo avere visto
cadere per strada tutti i suoi amici poliziotti di un tempo come Ninni Cassarà
(gente che le indagini non le faceva solo con i pentiti), è costretto a restare
in galera per motivi inerenti a una malintesa ragion di stato. In salsa
antimafia.

“E che ci sia una volontà persecutoria è sicuro”, affermano
le due donne.

Basta leggere, per rendersene conto, l’ordinanza con cui il
tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rifiutato gli arresti domiciliari in
attesa della decisione del tribunale di Napoli sul differimento della pena.

“Tre quarti dell’ordinanza – evidenziano le due sorelle
–  elencano i mali di cui soffre:
dall’ischemia al diabete, dalla cardiopatia 
allo stato di ipnutrizione in soggetto ultrasettantenne, dalla artrite
all’ateriosclerosi e via dicendo. Si attesta anche che esiste una
incompatibilità con il regime carcerario che non potrà che peggiorare una
situazione già seriamente compromessa”. Ecco perché ci si sarebbe aspettati che
l’istanza venisse accolta.

“E invece niente”: nelle ultime tre righe dell’ordinanza si
aggiunge una formuletta secondo cui letteralmente, “non può però dirsi, alla luce della diagnosi sopra
riportata, che le patologie da cui è affetto il Contrada siano, allo stato,
gravi e non trattabili in ambiente carcerario, pur se necessitano di una continuo
monitoraggio che viene garantito con il frequente ricorso al ricovero e con una
costante attenzione da parte della struttura sanitaria dell’istituto…”

Che
significa “condannarlo a morte”, spiegano le due signore.

La
moglie di Contrada, la signora Adriana del Vecchio, da quando il marito si è
costituito dopo la condanna definitiva non è mai andata a trovarlo in carcere.
Anche lei è cardiopatica e il medico curante le ha imposto di evitare bruschi
sbalzi emotivi. Bruno Contrada rischia di morire in carcere, senza neppure
poter riabbracciare la moglie.