A credere che la Grecia sia ancora salvabile è rimasta solo la Germania

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A credere che la Grecia sia ancora salvabile è rimasta solo la Germania

A credere che la Grecia sia ancora salvabile è rimasta solo la Germania

29 Febbraio 2012

di E. C.

Che il debito greco sia destinato al fallimento ogni economista avveduto l’ha capito da tempo. Che l’economia ellenica non avesse i fondamentali per aderire all’Euro è ormai cosa comprovata, dopo che l’Eurostat ha certificato come i bilanci pubblici presentati in sede europea dal governo di Atene erano truccati. L’apparato produttivo è assolutamente inadeguato per resistere ai livelli competitivi degli altri stati dell’Eurozona ed il soffocante ammontare di debito pubblico non consente nessuna possibilità di politica economica basata sulla spesa pubblica. E’ quindi stupefacente vedere la perseveranza con la quale la Germania sta tentando di convincere l’economia mondiale che una soluzione per l’economia di Atene ancora esiste, che l’uscita dal tunnel non è impossibile. A riprova di questo, ieri il Bundestag ha approvato il nuovo piano di aiuti da 130 miliardi di euro, che segue il precedente da 110 miliardi, concesso nel 2010 senza che abbia prodotto alcun effetto positivo.

La cancelliera Merkel, sempre più isolata a livello europeo, dopo che la maggioranza degli stati membri ha aderito alla lettera d’intenti sulla crescita inviata a Bruxelles dalla nuova coppia in cerca di leadership Cameron-Monti, ha espresso per l’ennesima volta la sua convinzione a fare di tutto per salvare l’Euro, avvertendo che gli effetti di un default greco sul Vecchio Continente sarebbero imprevedibili e che "l’Europa fallirà se l’Euro dovesse fallire". Sicuramente gli effetti del default greco si farebbero sentire sui bilanci delle banche tedesche, che sono tra le più esposte. Per altri paesi, tra i quali l’Italia, gli effetti sarebbero molto meno marcati.

Bisogna essere coscienti di come il processo di integrazione europeo non sarebbe assolutamente pregiudicato da una uscita della Grecia dall’Euro. Sarebbe una soluzione, ed è quella attualmente più auspicabile, che porterebbe vantaggi per entrambe le parti. L’Europa eviterebbe di ritrovarsi ogni due anni a stanziare miliardi di euro per un salvataggio al quale nessuno più crede e la Grecia, cambiando valuta, avrebbe lo strumento della svalutazione competitiva da utilizzare, uscendo dal vicolo cieco delle manovre draconiane imposte dall’alto nel quale è entrata.

Intanto, un altro segnale negativo per la Grecia e per chi crede ancora in un suo salvataggio è arrivato ieri dall’agenzia di rating Standard and Poor’s, che ha nuovamente declassato il debito di Atene, portandolo dal livello "spazzatura" al livello "selective default", dopo che le banche creditrici hanno acconsentito ad eliminare dal loro patrimonio più della metà della loro esposizione nei confronti del debito greco, attraverso uno swap sui titoli di debito ellenico. Nella sua motivazione, S&P’s ha equiparato l’operazione ad una vera e propria ristrutturazione del debito, in quanto, nell’accordo del 21 febbraio, la Grecia ha inserito delle cosiddette "clausole di azione collettiva", con le quali si obbligano tutti gli obbligazionisti a rivedere i termini di pagamento nel caso in cui una maggioranza di creditori accetti i nuovi termini. L’agenzia ha quindi valutato che, l’inserimento ex-post di clausole modificative delle condizioni iniziali stabilite in fase di emissione del debito, ha materialmente comportato un netto peggioramento del potere contrattuale dei sottoscrittori in vista dell’imminente operazione di swap sul debito.  

Il governo greco spera che la maggior parte dei creditori aderisca all’accordo sull’operazione di swap, ottenendo quindi la possibilità di avvalersi della clausola ed obbligare anche i creditori di minoranza ad accettare lo swap con le relative perdite. Se questo dovesse avvenire, S&P’s si è dichiarata disponibile a rivedere al rialzo il rating. Il problema, tuttavia, è che in questa operazione ci sono dei sicuri perdenti a fronte di incerti vincenti.