A DiBenedetto non basteranno soldi e idee per rifondare il “sistema Italia”

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A DiBenedetto non basteranno soldi e idee per rifondare il “sistema Italia”

31 Marzo 2011

“I sogni son desideri” verrebbe da pensare ascoltando le dichiarazioni del prossimo Acquirente della As Roma, l’italo americano Thomas DiBenedetto. Bilanci in ordine, 5-6 giocatori per rinforzare la rosa e uno stadio di proprietà: è il biglietto da visita del nuovo (futuro) proprietario giallorosso. Un auspicio di difficile attuazione, il modello inglese è lontano e forse irrealizzabile in Italia, vediamo perché.

Lo stesso Di Benedetto un paio di giorni fa aveva lanciato il tema spiegando che il problema maggiore del calcio italiano è la mancanza di impianti “confortevoli, accoglienti, capaci di sfruttare anche altri business”. L’italo-americano aveva rilanciato spingendo la Roma tra “uno dei primi club del mondo”, ma non prima del nodo stadio: “L’Olimpico non gratifica affatto la passione dei romanisti, le tribuna sono troppo lontane dal campo, il rumore con la distanza si perde”. Ma non solo: “È tempo che governo ed istituzioni facciano qualcosa di concreto per consentire alle società di costruire stadi nuovi”.

Dichiarazioni ragionevoli e condivisibili che hanno però scatenato reazioni negative nei vertici del pallone nostrano. Il presidente del Coni, Gianni Petrucci, ha evidenziato come DiBenedetto non fosse partito con il piede giusto perché “possono anche non venire a giocare all’Olimpico ma devono rispettare la storia di questo impianto”. In altre parole: la storia prima di tutto, poi il resto. Una tendenza rimarcata dal pensiero rivolto alla famiglia Sensi: “Voglio ringraziarli per quello che hanno fatto per la Roma. Hanno vinto tanto, non dimentichiamoci subito del passato”.

D’altra parte neanche gli attuali tenutari degli impianti, ovvero i comuni italiani, sembrano volersi staccare dal passato. Da anni si ascoltano polemiche sulla gestione, ma oltre le parole non si è mai andati. La macchina-da-soldi-calcio fa gola a tutti, anche agli amministratori locali che se la tengono ben stretta turandosi il naso. Basti pensare alla situazione di Firenze: la Fiorentina vorrebbe costruire una Cittadella dello Sport ma è lo stesso presidente del club viola a definirla una volontà “utopica”, stritolata nelle maglie di interessi e burocrazia difficile da districare.

C’è però dell’altro. Il problema sicurezza rimane centrale per il nostro movimento mentre altrove è affrontato con maggiori risultati. Il perché è da ricercare principalmente nella mentalità di chi reca allo stadio per sfogare in maniera animale i propri istinti aggressivi ma anche nell’incertezza della pena e nella modalità dei controlli all’ingresso degli impianti. Tutte criticità da tenere in considerazione se si vogliono aprire gli stadi alle famiglie ed eliminare le barriere tra il campo e gli spalti. A risentirne, oltre al business, è anche lo spettacolo.

Tornando oltremanica non si possono non notare alcuni dei manti erbosi più belli e curati del mondo. Ogni club si fa vanto del proprio campo e lo custodisce gelosamente, come fosse la più grande ricchezza. Da noi, Comuni e Federazione litigano su chi debba pagare gli interventi, che vengono così fatti al risparmio. Gli esempi di rizollature dei campi si sprecano, con alcune eccellenze negative come quelle di San Siro a Milano, Marassi a Genova e Bentegodi a Verona (solo per rimanere in serie A). Agli ostacoli di natura “attitudinale”, per così dire, vanno aggiunti quelli di prospettiva se si guarda a modelli ormai superati, più che al futuro.

Sembra addirittura di un altro pianeta quindi l’idea del magnate sulle nuove tecnologie. L’idea è quella di un club che sappia raggiungere ogni parte del globo, consentendo di vendere meglio il merchandising e, in questo modo, aumentare i ricavi e comprare giocatori più forti. Qui il divario con l’Inghilterra si fa drammatico: chi ha assistito ad una partita in uno stadio inglese sa che almeno la metà degli spettatori indossa una maglia originale del club, un cappello o un gadget che lo distingue. L’Italia, per ragioni culturali prima ancora che economiche, è il paese con i dati più alti di diffusione della contraffazione in Europa. Le operazioni portate a termine alle Dogane mettono in evidenza che mentre nell’Ue il fenomeno è in diminuzione in Italia si verifica il contrario. Dai circa 3mila accertamenti del 2008 si passa a più di 5000 del 2009 e dai 9 milioni di articoli contraffatti nel 2008 si è a circa 13 milioni nel 2009.

Per tutte le ragioni citate non ci sentiamo troppo ottimisti sull’evoluzione del movimento calcistico italiano, che invece ne avrebbe bisogno. L’avvento di investitori esteri – portatori di denaro e idee nuove – è sicuramente positivo ma si tratterà di un cambiamento visibile sul lungo periodo e in maniera ridotta rispetto ad altri scenari. DiBenedetto è avvisato: come gli ha prontamente ricordato Petrucci la “grande tradizione” va messa in primo piano, per un nuovo inizio c’è sempre tempo.