A L’Aquila è il giorno del ricordo, della speranza e anche della verità
06 Aprile 2010
A un anno esatto dal terremoto del 6 aprile, alle 3.32 di notte, migliaia di aquilani si sono ritrovati in Piazza Duomo ad ascoltare 308 rintocchi di campane, tanti quanti sono stati i morti di quella sera di un anno fa. Aquilani che venivano da quattro ore di marcia per la città, con i resti delle fiaccole usati per fare dei piccoli fuochi sul selciato della piazza attorno a cui scaldarsi dal freddo della notte. I partecipanti alla fiaccolata erano così tanti, che dopo un’ora dalla messa in movimento della testa del corteo la sua coda ancora si trovava nei pressi del punto di partenza, in un silenzio quasi religioso. Ad aprire la marcia, i familiari delle vittime del terremoto con le foto dei morti e lo striscione “Verità e Giustizia”. Ad un anno dal terremoto, la procura dell’Aquila ha annunciato che ci vorrà un altro anno prima di chiudere le indagini, ed emettere quindi le richieste di rinvio a giudizio per gli indagati per i crolli sospetti avvenuti la notte del sisma, incluso quello alla Casa dello Studente.
Prima della fiaccolata si era svolto in Piazza Duomo un Consiglio Comunale aperto al pubblico, durante il quale qualche decina di contestatori avevano fischiato e urlato mentre venivano letti i messaggi di cordoglio dei Presidenti della Repubblica, del Senato e del Consiglio, e mentre parlava il Sindaco dell’Aquila. Una brutta scena, che ha rovinato l’atmosfera di raccoglimento e solidarietà creata poco prima dalla canzone popolare “L’Aquila bella mè”, intonata dalla Corale Gran Sasso di fronte alla folla di aquilani stretti, silenziosi e commossi.
La giornata era iniziata, come ogni Pasquetta, con le arrostate di carne di pecora, castrato e salsicce, rito attorno a cui si ritrovano gli amici per stare insieme in allegria. Anche quest’anno è stato così, nonostante il terremoto fosse un po’ nei pensieri di tutti, e i brindisi si sono succeduti mentre il fumo saliva dai camini e dai fuochi accesi anche sotto la pioggia. La voglia di vita convive con il ricordo doloroso e con le difficoltà quotidiane, ed anzi spesso dà la forza per affrontare il passato e il presente. Non deve quindi stupire che la sera della domenica di Pasqua il Quinto Quarto, un nuovo locale aperto in un ex capannone vicino la stazione ferroviaria, fosse pieno di ventenni, trentenni e quarantenni che ballavano i latino-americani. La sera prima, come ogni sabato, Viale della Croce Rossa, appena fuori le mura medievali, si riempie di ragazzi e ragazze che tra l’Irish Pub e il The Corner, la Caffetteria e la rosticceria Da Stefania, si ritrovano a bere “una tazza”, mangiare un boccone e sentire musica. Si scherza con i camerieri, si cammina tra un locale e l’altro guardando di sottecchi le aquilane stoicamente in minigonna nonostante il freddo, si saluta gente che non si vedeva da un po’, si tira tardi e poi si fa guidare l’auto dall’amico più sobrio del gruppo per non finire contro un palo della luce. Come si faceva prima del terremoto, come si fa in una qualsiasi città italiana il sabato sera. Ma in modo diverso, come può essere diverso e surreale camminare vicino un cumulo di macerie ed entrare in un prefabbricato travestito da pub. C’è un senso di precarietà, un alone di malinconia che rimane anche tra le risate di una serata con gli amici o con la propria ragazza. E’ una nuova realtà, con cui bisognerà convivere per anni.
Anni che servono a riaprire il centro cittadino dove i palazzi ristrutturati al momento si contano sulle dita di una mano, come quelli in zona Via Venti Settembre dove un amico è tornato a vivere a febbraio, lui e altri due condomini circondati dal silenzio irreale di altri edifici completamente inagibili e deserti. I lavori di ristrutturazione in centro non sono ancora davvero partiti, a parte la messa in sicurezza dei palazzi danneggiati e le perizie tecniche per accertarne lo stato fatte nei mesi successivi al sisma, anche perché il Comune ancora non ha individuato i siti dove portare il grosso delle macerie, restando un anno impantanato tra lungaggini burocratiche, opposizione dei Verdi a questo o quel tipo di smaltimento delle macerie, studi di impatto ambientale e studi di fattibilità, veti incrociati delle varie circoscrizioni alla scelta di un sito piuttosto che un altro. In questa situazione di stallo è nata la protesta del cosiddetto “popolo delle carriole”, gruppi di cittadini che nelle scorse domeniche hanno simbolicamente portato via a mano, con secchi e carriole appunto, piccoli cumuli di macerie da alcune piazze del centro storico. Ma portati dove? Sempre in città, appena fuori dal centro, perché se il Comune non sceglie i siti di stoccaggio non si sa davvero dove metterli. Per uscire dallo stallo, si profila adesso un intervento dell’Esercito, in coordinamento con il Ministero dell’Ambiente, che attraverso il Genio Militare porterà via parte delle macerie.
La protesta delle carriole è coincisa con la campagna elettorale per le elezioni provinciali dell’Aquila. Una campagna segnata anche dalle indagini su alcuni funzionari della Protezione Civile accusati di concussione e altri reati, con relative intercettazioni telefoniche finite sui giornali. Alla fine, la conosciutissima presidente in carica Stefania Pezzopane, centrosinistra, è stata battuta dal semisconosciuto Antonio del Corvo, centrodestra, che ha vinto con 8 punti di margine nonostante a L’Aquila città fosse visto con una certa diffidenza perché proveniente dalla zona di Avezzano, l’altra grande città della provincia con cui gli aquilani hanno una vecchia ruggine. A detta di molti la vittoria del centrodestra, aldilà della valutazione dei due candidati, conferma il grande l’apprezzamento per l’operato del governo nella gestione dell’emergenza e della prima fase della ricostruzione.
Emergenza che è sostanzialmente finita a febbraio, quando la Protezione Civile ha consegnato le ultime villette in legno e le ultime abitazioni del progetto C.A.S.E., nelle quali oggi vivono circa 17.600 persone. Formalmente il 29 gennaio, alla Caserma della Guardia di Finanza tra i ringraziamenti delle autorità e gli applausi del pubblico, Bertolaso ha lasciato la carica di Commissario Straordinario al governatore dell’Abruzzo Chiodi, con il Sindaco dell’Aquila Cialente come Vice-Commissario. Tuttavia oggi la situazione abitativa non è completamente risolta, considerando che circa 4.300 aquilani vivono ancora negli alberghi, e altri 700 nelle caserme Campomizzi e Coppito. Va anche detto, però, che in diversi casi coloro che non hanno forti motivi lavorativi o familiari per tornare a L’Aquila, preferiscono risparmiare soldi e rimanere negli alberghi a spese dello stato mentre si procede a riparare le case. Oggi il paesaggio urbano dell’Aquila fuori dal centro storico, in quartieri come Pettino, è punteggiato di piccole impalcature che avvolgono le case rese inagibili ma non troppo danneggiate dal sisma, “B” e “C” secondo la categorizzazione delle perizie. Infatti, chi si era mosso subito per mettere d’accordo eventuali condomini, farsi fare il progetto di ristrutturazione e trovare una ditta edile, avere le autorizzazioni dal Comune e i soldi stanziati dallo Stato, ha fatto partire (e in alcuni casi finito) i lavori di ristrutturazione del proprio palazzo. E’ un lavoro lungo, farraginoso, faticoso, ad opera di privati cittadini che fanno la spola tra uffici comunali oberati di pratiche, studi di architetti e ditte edili che hanno preso decine di contratti. Chi possiede case nel centro storico è invece alle prese con gli “aggregati”, cioè con il tentativo di consorziare i proprietari di immobili che nei vari isolati sono addossati gli uni agli altri, e vanno quindi ristrutturati insieme per motivi tecnici strutturali. Chi ha una qualche esperienza di riunioni di condominio sa quanto sia difficile mettere d’accordo anche solo 5 condomini per spendere qualche migliaia di euro per cambiare un ascensore. Ecco, moltiplicare questa difficoltà per decine di comproprietari e per centinaia di migliaia di euro di spesa, e aggiungere i vincoli dei Beni Culturali per i palazzi antichi, può dare un’idea di quanto sia ancora più lungo, farraginoso e faticoso il lavoro preliminare che si sta facendo per la ricostruzione del centro storico. Il tutto in attesa che le autorità locali, dal Comune alla Regione passando per la Provincia appena rinnovata, elaborino una strategia complessiva per la ricostruzione e il rilancio economico della zona colpita dal sisma.
Il tutto mentre nell’anno appena trascorso mille cambiamenti sono avvenuti, mille difficoltà sono state affrontate e mille drammi e mille storie andrebbero raccontate. Dal mercatino della Befana tenuto nonostante tutto a ridosso del centro storico dell’Aquila alla surreale vigilia di Natale passata in albergo o in caserma, dalla chiusura delle ultime tendopoli a novembre al G8 di luglio, dalle scosse che non finivano mai ai funerali di stato per le 308 vittime, dall’arrivo di Esercito, volontari della Protezione Civile, Croce Rossa, Vigili del Fuoco per prendersi cura di 65.000 sfollati a quella maledetta scossa delle 3.32 del 6 aprile 2009. A tutto questo avranno forse pensato gli aquilani che ieri notte hanno ascoltato in silenzio i 308 rintocchi delle campane in Piazza Duomo. Silenzio che è proseguito per un po’ dopo che le campane hanno terminato di suonare, finché qualcuno non ha battuto le mani. Allora è iniziato un applauso lungo, sobrio, deciso. Un applauso di speranza, l’applauso di chi non molla mai. Un applauso forte e gentile, come gli abruzzesi.