A Londonistan vige la sharia. Perché il governo Brown non reagisce?

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A Londonistan vige la sharia. Perché il governo Brown non reagisce?

17 Settembre 2008

Un gigante dai piedi d’argilla: questo il vero volto del sistema giuridico anglosassone che sta permettendo alle Sharia di irrompere nei sistemi giuridici occidentali. Non tutti hanno compreso che le sentenze emesse in Inghilterra dalle “Sharia courts” rappresentano un precedente molto grave. Il nostro compito è quello di salvaguardare lo stato di diritto che fin dal Settecento si è affermato in Europa e che ha sulle sue spalle una tradizione millenaria. L’apertura dimostrata dell’arcivescovo di Canterbury verso questo fenomeno rappresenta un imperdonabile cedimento ed è comprensibile che le sue parole siano state contestate da ogni parte politica. Tuttavia, lo sconcerto dell’opinione pubblica inglese non è stato tale da spingere il sistema giudiziario inglese a rigettare questi tribunali. 

Ben cinque corti manovrate dallo sceicco Sheikh Faiz-ul-Aqtab Siddiqi, in funzione a Londra e in altre città del Regno Unito, hanno cominciato a deliberare a partire dall’estate 2007, sulla base di una riforma del 1996, l’Arbitration Act. L’unico a reagire con risolutezza è stato Dominic Grieve, ministro ombra conservatore della giustizia inglese, che chiede di sapere quali tribunali britannici stiano avallando decisioni di questo genere, visto che  agiscono al di fuori della legge.

Questi tribunali anomali per l’Occidente non condividono il principio di inviolabilità dei diritti umani, né i valori di libertà e di uguaglianza alla base delle democrazie europee. Per fare un esempio, tra i casi dibattuti di fronte alle “Sharia courts” c’è stata una disputa ereditaria. In nome della sharia, i giudici hanno assegnato ai figli maschi il doppio dell’eredità attribuita alle figlie femmine. Nei casi di violenza domestica, poi, non si è provveduto a punire i mariti violenti, ma gli imputati sono stati invitati semplicemente a seguire dei corsi di autocontrollo. In questo modo è venuto a mancare il principio secondo cui la giustizia è uguale per tutti e la legge inglese ha preferito che i panni sporchi venissero lavati “in casa propria”, cioè nella propria comunità di appartenenza. 

Avvallando questo status quo, Londra ha venduto l’anima agli sceicchi. L’Europa deve imparare da questa esperienza per rafforzare un sistema comune di diritti e di leggi che possa tutelare tutti i cittadini, indipendentemente dall’origine etnica o dalla religione. E proprio questo è stato uno dei temi cardine di un meeting sui temi dell’immigrazione e dell’integrazione a cui ho partecipato al Parlamento Europeo di Bruxelles, insieme ai parlamentari nazionali ed europei. Anche per questo motivo è condivisibile la posizione espressa dal presidente della Commissione Europea Barroso di creare una politica comune europea sull’immigrazione per conferire un’impronta democratica e moderata ai processi di integrazione. Speriamo che tutto questo non resti solo teoria.

Anche il Canada alcuni anni fa stava per cadere in questo tranello, ma alle prime avvisaglie fondamentaliste è riuscito a fermarsi in tempo. Inoltre, la strada del relativismo giuridico è ulteriormente pericolosa, perché non tutti i paesi arabi si fondano sullo stesso il diritto di famiglia. La Moudawana marocchina, riformata nel 2004, il diritto di famiglia tunisino modificato nella seconda metà degli anni cinquanta, quello giordano e quello di altri paesi arabi moderati sono molto diversi dal diritto di famiglia saudita, soprattutto per quanto riguarda la condizione della donna. A questo punto resta da chiedersi quale diritto sharitico stiano seguendo queste corti inglesi? 

Per salvaguardare un sistema di valori millenario, Papa Benedetto XVI ha lanciato un appello di cui il presidente Sarkozy ha saputo fare tesoro. I rischi collegati al relativismo e all’estremismo e l’importanza della laicità positiva della politica e dello Stato sono stati al centro del discorso di Benedetto XVI in Francia. Proprio in Francia, negli ultimi mesi, la polemica si è accesa attorno alle sentenze emesse da alcuni tribunali che purtroppo stanno facendo scuola anche in Italia. Talune delibere hanno attenuato la pena in base all’appartenenza religiosa ed etnica dell’imputato, altre invocavano tradizioni lesive per la donna. Il risultato è una situazione di schizofrenia culturale, in cui le donne sono le prime a rimetterci, di fronte all’ideologia fondamentalista che le vorrebbe sottomesse. Anche in Italia è emerso nei giorni scorsi il caso eclatante di una sentenza della corte d’appello di Cagliari, secondo la quale il ripudio non sarebbe contrario all’ordine pubblico, in quanto, a detta dei giudici, garantirebbe i diritti patrimoniali e di difesa della moglie.

Souad Sbai è deputata del Parlamento italiano per il Popolo della Libertà.