A Obama non conviene avere un nuovo giudice liberal alla Corte Suprema
15 Aprile 2010
Oggi come oggi la Casa Bianca di Barack Hussein Obama non vive, quanto alla politica interna, momenti di grande gloria e certamente i Democratici non si aspettano rose e fiori dalle elezioni di medio termine che si celebreranno in novembre. Oltretutto, il mondo liberal che domina i vertici delle istituzioni politiche statunitensi dove muoversi con cautela anche a proposito della Corte Suprema.
I nove giudici, di cui uno presidente, che compongono il massimo tribunale degli Stati Uniti vengono nominati a vita dal Senato federale dopo specifico vaglio professionale e su indicazione della Casa Bianca, ma può capitare che per ragioni di anzianità, per motivi seri di salute o per impeachment qualcuno di loro domandi il cambio. A quel punto, determinante diviene la Casa Bianca, istituzione più visibile e popolare di qualsiasi altra negli Stati Uniti, cui spetta il compito di proporre un papabile al Committee on the Judiciary del Senato il quale deve rigorizzare e vidimare la scelta presidenziale, in teoria attendendosi strettamente al curriculum e alle competenze tecniche del candidato, in pratica tutto il mondo è paese.
Un esempio? Se il citato Comitato senatoriale è da decenni ostaggio della cultura liberal (anche grazie a certi Repubblicani “di sinistra”, tipo il ben noto e chiacchierato senatore della Pennsylvania Arlen Specter, non a caso passato poi ai Democratici), gli otto anni di presidenza di George W. Bush jr. non gli hanno certamente reso facile la vita. Epperò oggi l’asse politico-culturale che collega Comitato e Casa Bianca è tutt’altra cosa.
Ora, venerdì scorso il giudice John Paul Stevens, il leader dei liberal dentro la Corte Suprema, ha chiesto il pensionamento. Accadrà in estate. Obama lo sostituirà con un altro ultraradicale? No, se sarà furbo, o se darà retta a certi vecchi volponi della Sinistra statunitense che in queste ore gli stanno inviando messaggi con ogni mezzo e in tutte le salse. Perché? Perché fra i conservatori della Corte Suprema l’immarcescibile e granitico Antonin G. Scalia si sta avvicinando agli ottant’anni, potrebbe chiedere pure lui la sostituzione, ma certamente non lo farà prima del 2012, anno di elezioni politiche, e questo per non consentire a Obama di fare cappotto nominando al suo posto un giudice di sinistra.
Scalia potrebbe però scegliere di uscire di scena subito dopo il 2012 qualora in quella data la Casa Bianca passasse ai Repubblicani, meglio ancora se a un Repubblicano almeno un po’ conservatore.
Ebbene, visto che oggi la sedia di Obama in vetta alla nazione nordamericana scricchiola non poco, e visto che dopo le elezioni di medio termine di novembre detto scranno potrebbe persino cominciare a perdere pezzi, l’establishment Democratico dovrà fare di tutto per riconquistare il centro dello spettro politico nazionale, convincendo un elettorato spostatosi ancora a destra che Obama non è un estremista.
La prova? La scelta di un moderato in sostituzione dello sfegatato Stevens. Se la strategia funzionasse, Obama diverrebbe presidente federale per la seconda volta e si siederebbe sulla sponda del fiume ad attendere pacifico il passaggio del corpo dell’arcinemico Scalia, il cui ostruzionismo tenace può resistere a molto ma certo non opporsi alla natura e al suo corso. Basterebbe poi sostituire Scalia con un giovane liberal arrabbiato e in carriera, e così, Obama o non Obama (ché eventualmente nel 2016 pure lui dovrà uscire di scena), sulle questioni fondamentali e sulle cose strutturali la “Right Nation” resterebbe al palo per un altro bel po’ e la nazione americana vivrebbe orba una volta in più del gran bene fatto da Bush jr. in seno alla Casa Bianca.
Marco Respinti è il Direttore del Centro Studi Russell Kirk