A Pechino gli uffici funzionano, si parla inglese e non ci sono le auto blu

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A Pechino gli uffici funzionano, si parla inglese e non ci sono le auto blu

15 Novembre 2010

Avessi avuto qualche anno di meno, sarei rimasto ed avrei iniziato una nuova vita di lavoro, invece da Pechino sono tornato a Roma con l’amaro in bocca. E dopo alcuni giorni, guardandomi intorno, passeggiando per le strade e vedendo quello che succede, l’amaro si è fatto ancora più pungente.

Ero stato in Cina, soltanto nella capitale e per lavoro, la prima volta nel 2004. Allora la città mostrava ancora due facce diverse, passato e futuro: le biciclette, declinate in tutte le forme, dalle più vecchie e sgangherate a quelle moderne, rappresentavano più della metà del materiale circolante. Ma già allora sfrecciavano nelle strade moltissime automobili, moderne, molte di grossa cilindrata e non poche da ricchi, Porsche, Ferrari, Corvette. Fu una tale scoperta che mi venne in mente una domanda rimasta senza risposta: “ma a questi qualcuno gli ha spiegato che sono in un regime comunista?”.

Anche il Partito, probabilmente onnipresente, agli occhi di un turista occidentale appariva piuttosto defilato, un’entità che si sapeva presente ma che non mostrava il proprio volto, e meno che mai la propria forza. Avevamo un albergo in pieno centro e la Conferenza si teneva nel Palazzo del Popolo a Piazza Tien An Men. Pullulavano i poliziotti, gentili, ma poco utili visto che non conoscevano l’inglese. Quello che colpiva fu che, pur stando nel centro del potere, non si vedeva un’ostentazione dello stesso, non una macchina con una scorta, un lampeggiante, una sirena.

Ritornatoci la settimana scorsa, dopo sei anni, ho trovato la città molto cambiata, in meglio. L’aeroporto è tra i più moderni al mondo, avveniristico nell’architettura e nella gestione. Tutti parlano inglese fluentemente e, spesso, meglio dei passeggeri in arrivo o partenza. Ai controlli dei documenti o di dogana sembra di stare in Europa, e dico Europa proprio per marcare la differenza di attitudine dei funzionari di controllo che capita di trovare in altri paesi. La sensazione che si ha arrivando, ed uscendo dall’aeroporto in non più di cinque minuti, è quella di un paese sereno e sicuro di sé.

Questa volta la conferenza era al nuovo Centro Congressi costruito nel quartiere delle Olimpiadi. Attraversi la città e la scopri cambiata: traffico denso, pesante ma mai caotico; vigili presenti ad ogni incrocio, pannelli enormi con le scritte in cinese ed inglese tanto che ti crederesti a New York o a Miami. Dappertutto grattacieli e palazzi moderni in una mescolanza non sempre bellissima di stili e tendenze ma sempre un chiaro messaggio verso la modernizzazione forzata a tappe veloci. Qua e là qualche vecchio edifico anni Cinquanta, abitazione o uffici, piuttosto triste e che ricorda il passato; ma la prevalenza è la proiezione verso il futuro e, soprattutto, vedi giovani dappertutto, attivi, in movimento, efficaci.

L’albergo, questa volta, è nel nuovo quartiere olimpico, la vista dalla mia stanza è impressionante: stadi avveniristici, piscine diventate oggi un acquapark, prati verdi e puliti. Dappertutto la sensazione di ordine e di fierezza per quello che è stato realizzato e che hai intorno: per terra non una cicca né un pezzo di carta. Ho avuto visite ufficiali ed incontri con personaggi importanti della struttura statale: entrambi i Ministeri formicolavano di persone indaffarate, tutto era pulito ed ordinato, la gente sorrideva. E pensavo a cosa avrebbe trovato un cinese, a ruoli invertiti, se fosse venuto lui in visita a Roma in un Ministero, diciamo tra le 10 e le 11 del mattino. Impiegati che passeggiano nei corridoi uscendo dal bar interno, uffici vuoti perché il dottore è fuori stanza, gente che entra ed esce con le buste di plastica piene per la spesa giornaliera, uscieri che leggono il giornale, nel raro caso in cui siano al loro posto.

Parlando con gli efficientissimi funzionari della nostra Ambasciata ti senti raccontare delle meraviglie di questo paese che, pur tra mille problemi e contraddizioni, si sta lanciando verso il futuro e che già oggi è la seconda potenza economica mondiale. Ti senti raccontare delle enormi possibilità di lavoro che si aprono per chi ha voglia di rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. E senti dei successi di molti che ti rincuorano e ti fanno ben sperare per il futuro dei tuoi figli. Se venti anni fa bisognava imparare l’arabo, e tentare la fortuna in medio oriente, oggi suggerirei ai miei figli di studiare il cinese, e presto. La Cina possiede, tra l’altro, la maggioranza dei metalli più preziosi necessari alle tecnologie di punta; quando i suoi imprenditori vanno in un paese in via di sviluppo non negoziano ma comprano tutto e pagano cash. Da anni i cinesi i maggiori creditori degli USA, ne controllano il debito in termini reali, stanno comprando pezzo a pezzo il mondo intero, e pour cause.

I loro tempi non sono veloci e caotici come quelli di altri; se sono aggressivi non lo dimostrano con la forza ma seguono il dettame del confucianesimo tutto intriso di calma, sanno aspettare. Non hanno necessità urgente ed angoscia per il domani prossimo perché sono consci che il dopodomani è loro, senza tema di smentite e lo resterà per secoli sinché non si accenderà un nuovo ciclo storico-economico. Lo stile sembra molto diverso rispetto a quello di altri conquistatori e, finalmente, appare accettabile soprattutto per un paese come il nostro, addormentato sulle glorie di un passato lontanissimo e senza un vero futuro promettente.

I cinesi rappresentano il domani certamente e le nuove generazioni non hanno nemmeno il ricordo del loro passato rivoluzionario e della loro storia: ne vedremo delle belle fra non molto. Intanto sono rientrato a Roma, ho ritrovato le strade del centro sporche, pochi vigili, le auto parcheggiate in seconda e terza fila, le strade ridotte a cunicoli, il clamore dei clacson, le gente che parla al telefono in auto senza che nessuno la sanzioni; e soprattutto ho ritrovato le scorte, le auto blu che sfrecciano verso il nulla: basta guardare al TV e leggere i giornali.