A piazza Navona i guitti tirano lo sciacquone e tutti ridono

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A piazza Navona i guitti tirano lo sciacquone e tutti ridono

09 Luglio 2008

Caro Direttore, ho letto la sua mail all’alba. Lei sa che non scrivo mai su richiesta e che la mia collaborazione con l’Occidentale è unilaterale. Avevo programmato una gita al vecchio faro di Montauk Point, ma il tono preoccupato del suo messaggio mi ha convinto a dedicarle un po’ del mio tempo. Lei mi chiede un articolo (mai io preferisco la più musicale parola “pezzo”) sulla manifestazione di piazza Navona e lo fa con la scusa di utilizzare la mia distanza per raccontare ciò che da vicino appare un turbine di follia.

Bene, dal mio avamposto chiunque può osservare che l’Italia è entrata nel mondo della “Psychopolitica”. 

Tranquillizzo il lettore, non voglio fare una passeggiata nel mondo della psichiatria né scomodare Sigmund Freud e Carl Gustav Jung per azzardare un’analisi dell’happening anti-governativo. E’ solo che mi è venuto in mente che Psycho fu il film in cui si vide per la prima volta nella storia del cinema un Wc in cui viene tirato lo scarico. 

La carrellata filmica sulla manifestazione organizzata dell’onorevole Antonio Di Pietro rivela il grottesco in cui è sprofondata la politica italiana. Ho letto del turpiloquio, degli insulti al capo dello Stato, al Papa, dei guitti sul palco e sullo schermo. Niente di tutto questo è davvero sorprendente, non vi è alcuna magica epifania nel signor Beppe Grillo e neppure nella signora Sabina Guzzanti. Essendo privi di charme, il loro discorso politico diventa automaticamente volgare e svuotato di senso. E’ l’effetto del Wc sullo schermo del cinema, è l’orrore delle cose inanimate. 

E’ uno slow-motion dove la bava alla bocca diventa macchiettistica, roba da avanzi televisivi, il messianismo è comico, la battaglia del Bene contro il Male si tramuta istericamente nella batracomiomachia, la battaglia dei topi e delle rane, un’involontaria parodia. L’urlo di Di Pietro, Paolo Flores D’Arcais, Pancho Pardi (oh, che nome…) si copre d’un fastidioso ronzio, è la Moscheide di Teofilo Folengo. 

Il lugubre discorso ha bisogno di grandi attori per far accapponare la pelle. Studiare la sagoma inespressiva di Andrea Camilleri non darebbe alcun indizio neppure al commissario Montalbano, non siamo di fronte a Anthony Perkins. E’ una fatica di Sisifo cercare di cogliere un’espressione tragica negli occhi oscurati di Fiorella Mannoia, non siamo al cospetto di Janet Leigh. E’ una rappresentazione senza sacralità e dunque colma di banalità. 

L’irrazionalità della folla spaventa e fa battere in ritirata chi voleva bruciare il Diavolo perché intuisce che si vuol bruciare tutto e tutti. Così fan gli intellettuali che come Furio Colombo strillano e poi si dissociano con il viso terreo di spavento. 

Si appronta il rogo, si vorrebbe inscenare un medievale processo di stregoneria, ma le streghe ballano dietro le quinte del palco di piazza Navona e intonano il canto dove “il bello è brutto/il brutto è bello”. Così, in un giro di vite finale, quel girotondo viene seppellito non dall’eco tragico e sinistro della risata di Anthony Perkins, ma dal comico rumore dello sciacquone.